Sabato prossimo inizia nel segno della poesia araba: la puntata di “Qui comincia”, la trasmissione d’apertura di Rai Radio 3 (alle 6 in diretta, poi in podcast), è dedicata a tre voci poco note e sorprendenti: l’irakena Nazik al-Mala'ika, l’iraniana Forough Farrokhzad e l’afgana Nadia Anjouman.
«Tre donne vissute in condizioni molto diverse ma unite dalla tradizione arabo-islamica e dall’essere ribelli, donne che avevano deciso che la libertà era il primo valore da perseguire», spiega Maria Grazia Calandrone, poetessa e romanziera (“Giardino della gioia”, “Splendi come vita”). È lei la curatrice di questo ciclo, intitolato “Poesia e realtà”, che nei weekend fino al 2 gennaio vedrà puntate dedicate a Carlo Bordini e Anne Sexton, Kae Tempest e Alda Merini.
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Al-Malaika è la più nota delle tre: «Nata in un ambiente letterario, è stata in qualche modo più fortunata delle altre», racconta Calandrone. «Ha contribuito a rinnovare la poesia tradizionale: le sue poesie raccolte in “Schegge e ceneri” sono precedute da un saggio in cui spiega la necessità di rinnovamento metrico. Ma poi nei versi affronta temi di attualità. Basta pensare che nello stesso periodo in cui teorizzava l’uso del verso libero ha fondato un movimento chiamato “collettivo contro il matrimonio”…».
La poetessa irakena Nazik al-Mala'ika
Nella sua storia della poesia araba intitolata “I cavalieri, le dame, i deserti” (edizioni Aseq), Francesca Corrao cita versi potenti dedicati a drammi della condizione femminile (in un componimento parla la vittima di un delitto d’onore, «Madre, un rantolo, / sangue e poi nero. /… I venti anni chiamano / e la speranza è incanto») ma anche alla situazione politica, come lo smarrimento del mondo arabo dopo la nascita dello Stato d’Israele («La notte chiede chi sono / sono il segno di un’inquietudine / nera e profonda»).
Forough Farrokhzad, continua Calandrone, «è la più nota in Europa: ha viaggiato molto, è stata intervistata da Bertolucci, le sono stati dedicati documentari. I titoli delle sue poesie parlano da soli: “Ero prigioniera”, “Il muro", “Ribellione… Ha parlato molto del desiderio femminile, un tema eversivo in quel periodo in Iran. Quando decise di divorziare le venne tolto il figlio, perché nel 1954 una donna che divorziava era considerata inadeguata al ruolo di madre. Passò dalla poesia al cinema, insieme al nuovo compagno, e lavorò come sceneggiatrice, attrice e regista. Ha girato un bellissimo documentario in un lebbrosario, “La casa è nera”, che le fece vincere molti premi. Una donna che si è divisa tra cinema e poesia per farsi meglio portavoce delle compagne di sventura nel nome della libertà. Avrebbe potuto fare moltissimo: ma purtroppo un giorno scivola sul ghiaccio con la sua jeep e finisce così, a 33 anni…». Si occupa di lei Anna Vanzan nel suo “Figlie di Shahrazad, Scrittrici iraniane dal XIX sec. a oggi”, (Bruno Mondadori).
E poi c’è Nadia Anjouman: di lei si è parlato molto, ma solo per la sua morte violenta, nel 2005: uccisa a botte dal marito che non le perdonava di scrivere poesie. «Le donne, che non potevano studiare, si riunivano in una finta scuola di cucito dove professori universitari facevano loro lezione di letteratura», spiega Calandrone. «Ma se una di loro, come Nadia, aveva una vera passione per la poesia, e questa passione veniva alimentata e diventa imprescindibile, nell’Afgjanistan dei talebani questo ti poteva costare la vita».
Era così nel 2005, rischia di essere lo stesso oggi. «Anche lei avrebbe potuto fare molto, ma i versi che ha fatto in tempo a scrivere sono molto semplici», continua Calandrone. «Del resto a vent’anni o sei Rimbaud o fai le tue prime prove. E lei ne era cosciente: molti versi parlano del suo dolore perché non ha abbastanza parole per esprimere quello che sente, non è abbastanza esperta della lingua per dire tutto quello che vorrebbe:”La mia opera è come una pianta priva di cure dalla quale non si può pretendere molto, questo è tutto ciò che mi rappresenta”, scrive».
Le poesie di queste tre autrici sono state pubblicate in Italia da piccoli editori: per al Malaika, “La notte mi chiede chi sono” (a cura di Luisa Orelli per la Fondazione Giorgio e Lilli Devoto); “È solo la voce che resta” di Farrokhzad è stato tradotto da Faezeh Mardani per Condò, mentre “Elegia per Nadia Anjuman” raccoglie alcuni versi della giovane afgana nella traduzione di Cristina Contilli, Ines Scarparolo e Mahnaz Badihian (edizioni Carta e Penna). «Ma saranno tutte e tre in un'antologia che sto curando per Mondadori, e che uscirà a marzo: trenta voci di poetesse di tutto il mondo che meritano di essere conosciute meglio».