“Ma allora secondo voi Fedez è uguale a Lucio Dalla?”. Beh, se questo è quello che si è dedotto dal pezzo sulla nuova musica italiana, vuol dire che mi sono espresso molto, ma molto male. Volevo dire tutt’altro, ovviamente, ma sono comunque rimasto sorpreso dalla valanga di commenti, insulti, battute più o meno feroci scatenate da un articolo che non voleva essere provocatorio, piuttosto un racconto, casomai un umile accenno di analisi di un fenomeno di grande portata che ha “oggettivamente”, ci piaccia o meno, trasformato, dopo anni di relativa inerzia la musica italiana.
A parte l’immancabile “braccia rubate all’agricoltura” che va sempre fortissimo, e i vari “aridatece Zucchero”, che per carità non se n’è mai andato, è sempre lì e quindi non serve che ce lo ridiano, si avverte un particolare accanimento sull’autotune: “così so’ boni tutti”, oppure “con l’autotune pure i rutti sono versi di usignolo”, al di là del fatto che di questo praticamente nel pezzo non vi è menzione, ma si sa, ci sono cose che bruciano e vanno dette comunque, appena si presenta l’occasione, anche se non è quella appropriata. Su Instagram, dove si sono concentrati i commenti più polemici, era stato offerto solo un estratto del pezzo, che qui potete leggere nella sua versione integrale, ma di sicuro il gioco del telefono senza fili, per cui alla fine si commenta il commento e non più quello che si diceva all’origine, avrebbe funzionato lo stesso.
“Ma chi ha scritto l’articolo ha mai ascoltato una canzone di De Gregori o di Vasco?” questo forse è il commento che mi ha fatto divertire di più, per un semplice motivo. Il lettore, e ci mancherebbe altro, non è tenuto a sapere chi sono, può serenamente e legittimamente dubitare della mia competenza, ma il fatto è che il primo articolo su De Gregori (dopo ovviamente aver religiosamente ascoltato le sue canzoni) l’ho scritto probabilmente intorno al 1975 e che De Gregori l’ho ascoltato dal vivo al Folkstudio quando ancora non aveva inciso nulla. Ma questo è solo per dire come a volte sono strane le cose, senza alcuna presunzione, e che casomai De Gregori l’ho ascoltato troppo, e lo stesso dicasi per Dalla o Vasco, al punto da essere contento come un ragazzino quando dopo anni di noia e qualche perla sparsa qua e là, si ricomincia a sentire tanta roba nuova, come non succedeva da tempo. Lucio Dalla, ve lo posso assicurare, alcune delle cose che girano adesso, tipo Madame, Colapesce/Di Martino o Tha Supreme le avrebbe adorate.
Se oggi c’è una massa di giovani che premono per essere riconosciuti non vuol dire che sono più bravi di Dalla o di De André, vuol dire che sono un’altra cosa, che non vanno paragonati perché quella è una stagione irripetibile, meravigliosa, forse la più bella stagione della storia della musica italiana, ma purtroppo è finita, ed è finita da troppo tempo. Quella canzoni sono lì, non le tocca nessuno, ma abbiamo bisogno anche di segni contemporanei, di linguaggi nuovi.
Non tutto è bello, gira anche roba scadente, ma ci sono decine e decine di nuovi nomi e finalmente c’è almeno un mare di cose in cui andare a pescare qualcosa di bello. Ma ovviamente ci sono commenti che non possono mancare, a prescindere da tutto.
“Anche Gino Castaldo tiene famiglia”, ho letto anche questo, e per fortuna è vero, ho famiglia, non sono solo, ma il solo pensiero che io abbia potuto scrivere un inno al cambiamento della musica italiana perché “tengo famiglia” è davvero comico, e anzi grazie di avermi regalato un ennesimo sorriso, ma soprattutto illogico perché a nessuno “interessa” che io scriva questo oppure il suo opposto, se non a voi appassionati e scatenati lettori. La stessa industria sta arrancando cercando di capire e adeguarsi a un fenomeno che, altro segno positivo, viene quasi esclusivamente dal basso.
Per chiudere vorrei soffermarmi sull’altro leitmotiv dei commenti. In sintesi: questi inascoltabili cani della nuova scena non sanno suonare niente, non hanno alcuna preparazione musicale. Può darsi ma vorrei solo ricordare ai più nostalgici, a quelli che per principio in musica il nuovo fa comunque schifo, che neanche questa osservazione, del resto più che verosimile, ha il benché minimo senso perché la gran parte dei musicisti che vengono ricordati come “quelli sì che hanno scritto canzoni”, tranne pochissime eccezioni, erano tutti completamente autodidatti, sono partiti da tre accordi e due noterelle, poi hanno imparato e hanno scritto i capolavori che sappiamo.
Non ho mai detto né pensato che tutto quello che c’è ora sia buona musica. Dico solo che finalmente c’è una intera nuova generazione che chiede di essere ascoltata, e il minimo che possiamo fare è ascoltarla.