Proviamo ad immaginare cosa sarebbe potuto accadere se Albert Einstein, Alexander Fleming ed Erwin Schrödinger fossero nati donne. È ciò che ha pensato Amit, l’ong spagnola, nata nel 2001, che riunisce le ricercatrici e tecnologhe di tutto il mondo attraverso la nuova campagna di sensibilizzazione #NomoreMatildas della GettingBetter Creative Studio. Immagini, video e tre racconti illustrati, scaricabili gratuitamente dal sito ufficiale sono tra le proposte nate con l’obiettivo di incoraggiare le ragazze ad intraprendere una carriera scientifica.
L’icona posta a manifesto della campagna è Matilda Joslyn Gage, un’attivista americana che si occupò di abolizionismo, difesa dei popoli nativi ed emancipazione femminile. I creatori del progetto hanno deciso di ricordarla dopo la ricerca della storica della scienza Margaret W. Rossiter, la prima a denunciare nel 1993 l’invisibilità delle donne sotto il nome di «effetto Matilda».
Con l’appoggio del Parlamento europeo, le tre favole spagnole sono diventate in breve tempo un fenomeno sociale. Le ipotetiche vite di tre donne geniali dotate di cognomi di un certo spessore, sono divenute spunto di riflessione per un pubblico senza età tanto da far registrare il sold out per la prima edizione di questi storybook. L’illustratore Rodrigo García Llorca ha alleggerito il tema con simpatiche illustrazioni in bianco e nero, mentre a raccontare con semplicità, empatia e senza troppa polemica le tre brevi favole sono stati gli scrittori Nöel Lang e Ángeles Caso, in collaborazione con la giornalista Carme Chaparro.
In un’epoca in cui imperava un maschilismo di Stato, le carriere delle tre Matilde avrebbero avuto degli intoppi lungo il percorso a causa di una scarsa considerazione di fondo. Per la società le tre donne geniali sarebbero state «cristallizzate», relegate in una posizione periferica poiché non assimilabili alla normalità di genere, etichettate piuttosto come tre creature aliene, fondamentalmente fatte male perché dotate di un cervello troppo maschile. Le loro valide scoperte sarebbero state nascoste per rendere invisibile il contributo di un’intelligenza femminile al mondo della scienza.
Ma i pregiudizi sulle attitudini rosa per fisica, matematica e chimica sembrano non tramontare mai. In generale, quando oggi si domanda a qualcuno di ricordare un grande scienziato, più della metà delle persone dice subito un nome maschile, con Albert Einstein che batte tutti. Nella storia compaiono pochi nomi di scienziate nonostante siano state artefici di scoperte chiave. Attualmente i riferimenti femminili sono appena un centesimo nei libri di testo delle scuole primarie e secondarie e poco più nei lavori accademici. Alcuni esempi sono riportati in un documento di otto pagine illustrate, che l’Amit propone di allegare ai libri di testo delle scuole elementari a partire dalla quinta classe, in quanto è il primo anno in cui si iniziano a studiare i personaggi che hanno fatto storia.
Tra le donne mai citate c’è la biochimica ceca Gerty Cori, premio Nobel per la medicina nel 1947, riconoscimento che dovette obbligatoriamente condividere con il marito e un collega per le scoperte sul glicogeno. Poco si sa sul talento di Irene Joliot-Curie, figlia della famosa Maria che nel 1935 fu orgogliosa di vedere riconosciuto il premio Nobel per la chimica proprio alla ragazza, costretta a dividerlo con il marito collega. In tempi più recenti, l’immunologa francese Francoise Barré-Sinoussi ricevette nel 2008 il premio Nobel per la medicina insieme al più noto e citato Luc Montagnier per lo studio sull’Hiv. E la lista è lunga.
L’idea di allegare ai libri scolastici ordinari degli opuscoli con le storie di scienziate poco raccontate è un valido tentativo per superare definitivamente il gender gap, partendo proprio dall’infanzia e dalla scuola. «Il divario di genere è ancora troppo largo e si riflette sulle condizioni economiche, sociali, sull’accesso all’istruzione e al mondo del lavoro, in particolare per le discipline Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) in cui la presenza femminile è di certo troppo bassa.
Oggi una ragazza su otto decide di iscriversi alla facoltà di Ingegneria informatica e se prima in Matematica si vedeva qualche spiraglio di speranza femminile, adesso le donne rappresentano soltanto i due quinti e i numeri sono sempre più in discesa», spiega Carmen Fenoll, Presidente dell’Amit e professoressa di Fisiologia vegetale presso la Facoltà di scienze ambientali e biochimica dell’Università di Castilla-La Mancha a Toledo.
Nel manifesto dell’ong spagnola è espresso il punto cruciale della questione: quanto la mancanza di referenze femminili abbia avuto un forte impatto sulle aspirazioni delle ragazze nel momento della scelta professionale e come per loro sia ancora troppo complicato, rispetto ai colleghi maschi, decidere di intraprendere facoltà matematiche o ingegneristiche, non certo per assenza di capacità, ma solamente per la certezza di non essere successivamente prese in considerazione in ambito lavorativo. «La voragine di genere inizia purtroppo durante l’adolescenza, già nella scelta della scuola secondaria: soltanto tre ragazze su dieci si sentono incoraggiate a intraprendere studi scientifici e all’università il solco tra maschi e femmine diventa profondissimo.
Se l’interesse femminile per le materie tecnico-scientifiche si sviluppa intorno agli undici anni, già cala verso i sedici, quando inizia la consapevolezza di ciò che si vorrebbe fare nella vita. Il motivo è da ricercare nella percezione di assenza di pari opportunità nel mondo del lavoro che determina un ripensamento e di conseguenza la spinta a scelte differenti, per così dire più sicure», spiega Carmen Fenoll.
#NomoreMatildas non rappresenta soltanto una campagna puramente descrittiva, ma un modo per limitare i danni causati dall’invisibilità femminile in ambito scientifico. «Il problema non è da sottovalutare, poiché una delle disuguaglianze di genere più citate nel campo della scienza è il cosiddetto “soffitto di cristallo”. Le donne arriverebbero soltanto fino ad un certo livello di carriera, ma poi difficilmente raggiungerebbero il vertice e in ambito scientifico ancora oggi solo una scienziata su dieci assume alti incarichi accademici».
In pratica le adolescenti percepiscono che la scienza sia una cosa da uomini e cambiano velocemente idea sul percorso da intraprendere. Inoltre la società, la famiglia e la scuola dubitano dell’idoneità delle ragazze a perseguire un cammino scientifico, quindi ciò crea forti dubbi anche nelle stesse adolescenti. «Chi riesce a superare questi ostacoli si ritrova in ambienti accademici ostili, ancora afflitti da stereotipi inconsci. Molte ragazze abbandonano e altre non riescono a realizzare il proprio potenziale. Questo circolo dell’invisibilità è molto difficile da spezzare, nonostante i progressi legislativi», afferma il presidente dell’Amit.
L’hashtag nasce proprio con lo scopo di aiutare le donne a trovare il proprio ruolo nella scienza e a spingere le adolescenti a considerare questo campo come opzione di carriera senza farsi scoraggiare dai muri di cristallo, ma le azioni vanno attuate attraverso le istituzioni per assicurare il totale abbattimento delle discriminazioni, combattendo attivamente contro gli stereotipi di genere e garantendo un ambiente di lavoro equo per tutti. Occorre sostenere l’interesse delle bambine verso la scienza garantendo un pari accesso a percorsi formativi in ambito tecnico-scientifico, rendendole protagoniste attive delle proprie scelte.
Margherita Hack e Rita Levi-Montalcini sono per fortuna tra le eccezioni alla regola. Le nostre signore della scienza erano dotate di qualità perennemente giovani: curiosità, sete d’avventura, ironia e spirito ribelle. Rita è stata la seconda donna italiana ad aver ricevuto un premio Nobel nel 1986 scoprendo il fattore di accrescimento della fibra nervosa, fu nominata senatrice a vita nel 2001, ma ammessa abbastanza tardi per i tempi storici come prima donna alla Pontificia Accademia delle Scienze. Margherita ha svelato al mondo un amore che nasceva dalla sete di conoscenza e per lei il coraggio di sapere non doveva avere età né tantomeno appartenenza ad un genere.
«Oggi i geni solitari nel mondo della scienza sono un’eccezione, quasi sempre il lavoro è di squadra, ma l’effetto Matilda c’è ancora, alimentato da meccanismi inconsci che fanno pensare come i risultati raggiunti siano ad opera di uomini e che le donne rappresentino solo una piccola parte di quella squadra. È l’ora di sbarazzarci di questi stereotipi cosicché tutte le scienziate, di cui nessuno parla ai bambini, possano riprendere il posto che spetta loro nella storia».
Le tre Matilde vogliono essere uno stimolo per risvegliare nelle bambine una vocazione scientifica, soffocando quelle voci che fin dalla più tenera età dicono loro che sono meno intelligenti e dotate per la scienza rispetto ai maschietti. In tal senso, la campagna Amit ha già avuto un forte riscontro: sono molti i professori che a titolo personale hanno pensato di utilizzare le tre favole come allegati ai libri di testo, mostrando anche ai propri alunni il video presente nel sito ufficiale della campagna. Ed è per tutto il mondo un esito che fa ben sperare.