C'è una nuova strada per esplorare le RiveArabe, e passa dai social e dal web

Una rivista culturale online. Fondata da arabisti, musicisti, diplomatici. Per unire editori e università al pubblico di Facebook e Instagram. Dalla newsletter de L’Espresso sulla galassia culturale arabo-islamica

Che il Mediterraneo è un mare racchiuso tra terre diverse lo sappiamo tutti, lo dice il nome. Che quei territori sono i confini di Europa, Asia e Africa salta all’occhio su ogni carta geografica. A Sud però ci sono regioni legate da un collante storico e culturale, la cultura islamica. A questi Paesi è dedicata una nuova realtà italiana, che prende il nome dalle “rive arabe” del Mediterraneo e si rivolge ai professionisti e ai non addetti ai lavori, a chi frequenta le aule di arabistica e a chi invece preferisce gli spazi virtuali dei social.

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Lo scopo principale di RiveArabe è dare più spazio alle novità culturali che vengono da regioni vicine eppure trascurate per colpa di ostacoli storici, ideologici e culturali. Il primo ostacolo è la lingua: e non è quindi un caso che la maggior parte dei fondatori del sito siano arabisti che firmano anche traduzioni: Alessandra Amorello, Barbara Benini, Amira Kelany, Gassid Mohammed e Federica Pistono. Nel pool però ci sono anche Mario Boffo, ex ambasciatore in Yemen, Jolanda Guardi, che insegna letteratura all’università di Torino e traduzione a Milano, e poi il violinista e arabista Antonino d’Esposito e Franco Ferioli, volontario e giornalista esperto di Medio Oriente. Tutti loro sono stati coinvolti in questa intervista collettiva.

Perché questo sito, e perché ora?

«Abbiamo voluto dar vita a RiveArabe perché, a nostro avviso, non esiste, in Italia, un sito che si occupi di letteratura araba, offrendo ai lettori articoli, recensioni, traduzioni. Esistono ottime riviste scientifiche e accademiche, ma non spazi che possano soddisfare le esigenze di un “lettore medio” interessato a orientarsi in questo ambito, generalmente riservato agli accademici. Abbiamo notato che testi letterari di grande spessore finiscono spesso ignorati dal grande pubblico, poco recensiti da giornalisti e blogger, che si focalizzano principalmente sulle pubblicazioni della grande editoria. Il nostro scopo è quello di colmare questa lacuna».

A quali lettori vi rivolgete? E quali riscontri avete avuto da quando avete iniziato a pubblicare?

«Sin da subito, il nostro obiettivo è stato quello di raggiungere il più grande numero di lettori e, soprattutto, qualsiasi lettore. Infatti, a nostro avviso, uno dei problemi della ricezione della letteratura araba in italiano sta nel fatto che la quasi totalità dei fruitori di questi testi è rappresentata da “addetti ai lavori”. Vogliamo raggiungere ogni singolo lettore, dai bambini più piccoli fino ai loro nonni, nessuno deve essere escluso dal mondo delle lettere arabe. Facile a dirsi, difficile a farsi; eppure, le sfide non ci fanno paura, altrimenti perché anche solo concepire RiveArabe? Ci siamo immediatamente posti il problema di come raggiungere i lettori e la risposta l’abbiamo individuata nei social media. È in questo bacino quasi infinito di utenza che il nostro lettore tipo si muove, allora anche RiveArabe è stato si dai primi momenti un progetto con proprio profilo “social”. Le nostre pagine Facebook e Instagram, nonché il sito vero e proprio, si sono tuffati nell’esperienza della condivisione letteraria ai tempi della realtà virtuale. I risultati, finora, sono più che confortanti. In effetti, ancor prima che il primo post Instagram fosse pubblicato, quando nel nostro profilo si potevano leggere solo poche parole di bio unite al logo, i follower avevano già iniziato a darci fiducia seguendoci. Fiducia che continuano a manifestarci condividendo, commentando e scrivendoci».

Le “Rive arabe" sono prima di tutto quelle del Mediterraneo meridionale: però la carta geografica che apre il sito mostra che avete deciso di allargare il vostro interesse a Sudan, Eritrea e Somalia. Perché?

«Le "Rive" sono idealmente nate non esclusivamente come rive mediterranee, ma come sponde di mari e fiumi. L'idea nacque durante un confronto fra colleghi sulle note di una canzone di Dalida, "Helwa ya baladi", dedicata all'Egitto, che dice "Buongiorno sulle tue due rive", riferendosi alle sponde del Nilo. Non da meno abbiamo immaginato le sponde di Tigri ed Eufrate, le coste del Mar Rosso sino al Golfo di Aden, le spiagge del Golfo Persico a scendere verso il Golfo di Oman. Inquadrare in un così vasto panorama geografico le letterature arabe suggerisce inevitabilmente quante differenze si possano incontrare nel corso della carriera di un traduttore, linguistiche come culturali. Tradurre uno scrittore kuwaitiano ci porterà sicuramente ad affrontare questioni sociali, culturali e politiche nettamente differenti da quelle del Libano o del Marocco, ma questo è proprio ciò che le "Rive" intendono ripercorrere in questo preciso momento: la navigazione lungo le rive arabe vuole essere un caleidoscopio di quelle realtà così eterogenee. Anche all'interno dello stesso paese: basti pensare, scendendo il Nilo verso l'Alto Egitto, a quante differenze si possano incontrare lungo il cammino da Alessandria ad Asswan. Questo non esclude però un filo rosso a far da bussola al vascello che solca le Rive Arabe, proporre quel genere di letteratura che riesca a dare al lettore occidentale la cifra della cultura, della società, del sostrato umano e intellettuale di provenienza, proiettandolo, una volta tradotto, in un panorama letterario di più ampia fruizione. Potremmo definirlo un lavoro corale di viaggio e ricerca, ciascuno secondo le proprie competenze e aree di interesse, in costante contatto con le "Rive arabe", allo scopo di disegnare una mappa letteraria più eterogenea e dettagliata possibile di quelle che definiremo appunto "Le letterature arabe"».

A parte i tre Stati che ho citato prima, il vostro confine è la lingua araba. Molti scrittori di paesi arabi però scrivono anche o soltanto, in lingue europee (e spesso gli editori trovano fin troppo comodo pubblicare questi scrittori piuttosto che quelli di lingua araba…). Come vi ponete verso gli scrittori che non usano l’arabo?

«Jean Sénac diceva che ci vuole qualcosa di più che scrivere in una certa lingua per appartenere a una certa letteratura, quindi certamente l’uso di lingue diverse dall’arabo non è un discrimine di per sé e in effetti un paio di noi hanno anche tradotto autori arabi che scrivono in altre lingue. Ed è certamente vero che per gli editori è più comodo tradurre da altre lingue perché, tra gli altri, uno dei problemi è che le case editrici non hanno al loro interno editor che conoscono la lingua araba. Noi di RiveArabe, tuttavia, pur riconoscendo la molteplicità di scritture, prediligiamo quelle in lingua araba proprio perché sono quelle che vengono di solito meno considerate. La produzione di narrativa in lingua araba oggi è molto ampia e di alta qualità. Le traduzioni presenti sul mercato, inoltre, sono spesso di romanzi che trattano argomenti che in qualche modo perpetuano gli stereotipi, mentre noi cerchiamo di portare all’attenzione di chi legge una molteplicità di stili e contenuti che rendano conto della varietà e anche delle forme di sperimentazione nella scrittura. In un certo senso si tratta di operare una sorta di discriminazione positiva per far emergere autrici e autori di lingua araba».

Molti di voi, fondatori di RiveArabe siete traduttori. Siete quindi le persone adatte a cui chiedere una spiegazione e un parere sulle polemiche sulle traduzioni che si stanno diffondendo nel mondo anglofono, in particolare rispetto all’arabo. Sul sito Arablit ho letto interventi che definiscono “la traduzione un furto”, un altro che spiega come sia difficile tradurre dall’arabo anche solo la parola “wa”, che significa “e”. Mi spaventa che questo succeda proprio ora che sta aumentando il numero delle traduzioni dall’arabo: se tradurre è così problematico, editori (e lettori) soprattutto anglofoni torneranno alla comfort zone delle lingue europee…

«La traduzione letteraria dall’arabo è sempre un compito arduo. Le difficoltà che il traduttore incontra lungo il percorso sono molteplici. Citeremo soltanto alcuni problemi, che il traduttore deve risolvere prima ancora di cominciare il lavoro di traduzione. Un romanzo arabo può presentare intertesti, dialoghi espressi nel dialetto del Paese di origine dell’autore e “Realia”, cioè termini che indicano una realtà esistente nella cultura di partenza ma non in quella di arrivo. Se nell’opera sono presenti intertesti, ossia brani che l’autore ha estrapolato da altri testi, di carattere religioso, letterario, politico, il traduttore deve decidere come renderli in italiano, senza alterare l’atmosfera che l’autore ha voluto creare. Lo stesso vale per i Realia. La prima preoccupazione del traduttore, dunque, dev’essere quella di proporre un testo profondamente rispettoso dello “spirito” dell’opera letteraria di partenza, cercando di veicolare da una lingua all’altra il messaggio dell’autore e l’atmosfera del romanzo. Deve cioè preoccuparsi, di captare le peculiarità del testo di partenza, per fornire un testo di arrivo che presenti analoghe caratteristiche in relazione allo stile, al registro linguistico, al ritmo narrativo e alla leggibilità. Se il traduttore svolge il suo lavoro con competenza e onestà, parlare di “furto” è, a nostro avviso fuorviante, e potrebbe davvero indurre i lettori a tornare a leggere esclusivamente letteratura occidentale».

Una sezione del vostro sito è dedicata all’editoria per l’infanzia. Perché la considerate così importante?

«Nell’ultimo decennio la letteratura araba per l’infanzia ha avuto uno sviluppo molto importante con una conseguente crescita dell’industria editoriale. Tale sviluppo è dovuto al proliferare di nuove case editrici che hanno scelto di specializzarsi in questo ambito e alla creazione di premi letterari, principalmente finanziati dagli Stati del Golfo, fra cui il premio Etisalat. I premi hanno contribuito al miglioramento della produzione letteraria, sia dal punto di vista delle tematiche trattate, che dal punto di vista artistico. È interessante notare come i temi siano cambiati. Se nel passato la letteratura araba per l’infanzia si focalizzava su storie dal risvolto morale o finalizzate all’insegnamento della religione, adesso sfogliando le pagine di un libro illustrato o di un romanzo per ragazzi, si possono leggere trame che trattano argomenti sociali quali la guerra, la diversità, o altre che narrano storie fantastiche. Nel primo caso, si può citare l’opera della scrittrice siriana Nadine Kaadan, che racconta le paure dei bambini siriani, o della giordano-palestinese Taghreed Najjar, che tratta il tema dell’occupazione; mentre nell’altro caso spiccano i nomi delle libanesi Fatima Sharafeddine e Sahar Naja Mahfouz o dell’egiziana Hadil Ghoneim. RiveArabe si prefigge di individuare nuovi autori e nuove autrici da proporre agli editori interessati. Negli ultimi anni diverse case editrici italiane hanno dedicato collane alla narrativa araba per bambini e ragazzi, fra queste si possono ricordare Carthusia Edizioni, Edizioni La Linea, Gallucci, Giunti, Mesogea, Sinnos… L’importanza di queste iniziative lodevoli risiede non solo nell’aspetto prettamente artistico e letterario, ma soprattutto nel tentativo di sviluppare un’educazione interculturale e nel dare visibilità, attraverso i libri in doppia lingua, a culture e linguaggi diversi. A noi piacerebbe raccontare queste e tante altre storie, sponda dopo sponda... Per iniziare il nostro viaggio abbiamo scelto di approdare negli Emirati Arabi, dove la tenera voce di un bambino, nel libro di Fatima Sharafeddine, ci ha accompagnato “intorno a casa sua”, alla scoperta di luoghi fantastici, in un confronto con l'Altro ma anche con noi stessi».

 

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