Una madre uccide la figlia abbandonandola su una spiaggia. Un film bellissimo e sconcertante

Saint Omer, la Medea di Diop e il cinema che guarda al futuro

Gran parte di “Saint-Omer” si svolge in un tribunale. Eppure il bellissimo film di Alice Diop - bellissimo e sconcertante - non ha nulla del cinema processuale che conosciamo. Ogni parola pronunciata in quel tribunale viene dai verbali di un processo che la Francia seguì col cuore in gola, quello di Fabienne Kabou, 36enne di origine senegalese che il 25 novembre 2013 uccise la figlia di 15 mesi abbandonandola su una spiaggia di Berck-sur-Mer, vicino Calais, in una sera di marea montante. Eppure mai la scansione di gesti e parole, rivelazioni e menzogne (o deliri, come diranno gli psichiatri), di cui è costellato il processo, echeggia la grammatica logora dei film nati “da una storia vera”.

La regista, classe 1979, due premi all'ultima Mostra di Venezia (Leone d’argento e Leone del Futuro), ha alle spalle vent’anni di documentari. Ma nulla avvicina questo film denso e pittorico all'estetica “rubata” dei docu volgarmente intesi.

Che cos'è dunque “Saint Omer”? Un gioco vertiginoso di specchi tra l’accusata, che si vuole vittima di stregoneria, e la giovane scrittrice, anche lei di origine senegalese, che parte da Parigi per seguire quel processo che la scuote in profondità (le attrici sono le inedite e stupefacenti Guslagie Malanda e Kayije Kagame). Un controcampo non meno disturbante sui nostri pregiudizi di bianchi progressisti ma in difficoltà davanti a una moderna Medea rea confessa, presenza elegante e magnetica, linguaggio colto quanto affilato, ottimi studi alle spalle, una tesi su Wittgenstein in corso (ma forse è una montatura), un amante-tutore-protettore bianco e benestante, molto più vecchio di lei, che in aula sembra ora una vittima, ora un ingenuo, ora un ipocrita, e forse è tutto questo insieme.

Infine il cantiere - già molto avanzato - di un cinema a venire. Un cinema capace di accogliere nel suo farsi la complessità di un dramma finora invisibile ma sotto gli occhi di tutti, ogni giorno, quello dello sradicamento di milioni di migranti (e della sua eredità: il cuore del film è il rapporto madre-figlia), che di generazione in generazione potrebbe costringerci a riconsiderare tutto ciò che credevamo di sapere. Altro che certezze giudiziarie, geografiche o morali. Se credete che tutto sia stato già raccontato date un’occhiata a “Saint Omer”. Ma tenetevi saldi.

“Saint Omer”
di Alice Diop
Francia, 122’

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