Era il 1992 quando con un'improbabile giacca color ghiaccio Corrado Guzzanti insieme all'intera banda di “Avanzi” ritirava il Telegatto dalle mani di Fabrizio Frizzi per il miglior programma rivelazione. Erano gli anni in cui la tv aveva una gran voglia di sperimentare e riusciva a far ridere sul serio guardando quel che accadeva fuori. Poi tutto si ribaltò, la satira perse il suo senso primario visto che ciò che succedeva all'esterno faceva decisamente più ridere di quel che qualsiasi talento potesse mettere in scena e nel piccolo schermo la tendenza al grigio prese di forza il sopravvento.
Così se da una parte restano come mosche in un pugno sprazzi di nostalgia per quei tempi in cui la comicità non temeva il contrappasso, dall'altra si conserva quell'innamoramento primordiale nei confronti di Guzzanti, genio tanto luminoso quanto restio, davanti al quale viene da saltare a piedi uniti per l'entusiasmo a ogni inquadratura di repertorio. Perché a onor del vero, negli ultimi anni si è concesso pochino. Per questo, come i seguaci di Quelo, scatta spontanea la devozione per la seconda stagione di “Lol-Chi ride è fuori” (Prime Video) che così all'improvviso (più o meno, se non si calcola il legittimo battage promozionale che va avanti da mesi) lo ha risbattuto nelle case e riportato sul giusto sentiero: quello predisposto per far morire dal ridere. I comici rinchiusi per il programma più alla moda dell'anno sono dieci, di cui una buona parte all'altezza della situazione, e nel complesso, anche se manca l'effetto sorpresa dirompente della prima volta, il divertimento limpido viene fuori in diverse occasioni, guerra in corso permettendo. Ma con Corrado Guzzanti si parla proprio un'altra lingua.
Già dal suo ingresso in accappatoio bianco e «il taglio di Valentina Crepax» si ha la netta percezione che si tratti di qualcosa di diverso, che risulta difficile anche solo incorniciare in una definizione. Un po' come quando spunta dal nulla il monolite di Kubrick, lo studio tutto si ritrova in un attimo a muoversi al rallentatore in una sorta di osservazione stupefatta di un gigante. E mentre si passa dalla seduta spiritica al ciuffo biondo di Vulvia che spiega i “geoglifi”, si fa strada quel pizzico di rammarico per tutte le volte che avrebbe potuto regalarsi come un rubinetto aperto anziché limitarsi al contagocce di fronte al suo pubblico fedele nei secoli. Così, quando viene da chiedersi chi sia il Papa della comicità italiana (come lo presenta il padrone di casa Fedez) la risposta è dentro di noi. E per una volta non è sbagliata.