Ho paura. Anzi no, non esageriamo, diciamo che ho un timore, un sospetto, un tarlo, una preoccupazione che ha a che vedere col libero pensiero, con la facoltà di poter esprimere un dissenso, un’opinione divergente, un giudizio non allineato. Supponiamo che, si badi, a titolo puramente esemplificativo, nei prossimi giorni debba uscire un disco di Fedez, e supponiamo che io possa non amare le canzoni e che, per assurdo, avessi perfino degli argomenti per sostenere il mio giudizio negativo, come mi comporterei? Sarei capace di sostenere lo tsunami di 13,7 milioni di follower inferociti contro di me? A Fedez basterebbe un cenno, una sua foto con un sopracciglio storto e il mio nome sotto, e la mia vita probabilmente diventerebbe un inferno. È pura fantasia, ribadiamo, Fedez è un uomo fantastico, un sincero democratico, verosimilmente anche consapevole del potere feroce e devastante che detiene, e non farebbe mai una cosa simile, non scatenerebbe mai una tempesta contro un “normodato” social come me. Non lo farebbe mai. Ma la questione rimane. È lì, nell’aria, nessuno lo dice, ma il problema c’è, può riguardare altri artisti, altri opinionisti, ma c’è.
La forza invadente e ipertrofica dei social, come doppio deforme e alterato della vita reale, non è una forma di intimidazione? Non scoraggia l’esercizio del giudizio critico? Sarà un caso ma un tempo in musica esisteva la critica e ora non c’è più, le ragioni sono molte e troppo noiose per elencarle in queste poche righe, ma sono riassumibili nell’idea che col passare degli anni, la musica è diventata una questione diretta tra artisti e fan. In mezzo non ci deve essere nessuno, non serve, nessuna presenza è gradita. Unica eccezione tollerata, a malapena, è Sanremo. Solo in quella settimana i giornalisti sono chiamati dalla grande commedia del festival a interpretare la parte del “critico”, a tirare fuori palette e voti, emettere giudizi sferzanti e calembour, per poi ritirarsi in lungo letargo fino al festival successivo.
Per il resto ci sono i social, che sono appunto l’apoteosi dell’illusione suprema di ogni appassionato: la sensazione di essere in contatto col proprio beniamino, al quale si può anche mandare un messaggio diretto, certi che gli arriverà, anche se con ogni probabilità una risposta non arriverà mai, ma non importa, potrebbe accadere e questo basta. In questo patto di sangue è difficile, per non dire pericoloso inserirsi, gli artisti possono fare a meno di qualsiasi intermediazione, al massimo possono accettare apologeti, santificatori, ritrattisti, o meglio ritoccatori. E questo fa paura.
Certo, direte voi, come si fa a non aver paura in questi tempi bui, ci sono le malattie, le guerre, l’orrore dell’infinita follia umana. Altro che bagatelle social. Si è vero c’è sempre di peggio e di più temibile, ma perché ridursi a temere anche il piacere innocente e libertino del libero giudizio?