Un film da festival contro i film da festival. Per conquistare soprattutto chi ai festival non mette mai piede. I registi sono i due straordinari argentini di “El artista” e “Il cittadino illustre” spalleggiati dal fratello di uno dei due, Andrés Duprat, che oltre a scrivere copioni perfetti dirige il Museo Nazionale di Belle Arti di Buenos Aires. Il che spiega l’attenzione non tanto al mondo dell’arte ma a come l’arte “funziona”, cinema compreso. E annuncia lo stile sapiente di un film che sorprende a ogni inquadratura senza mai smettere di divertire (e a volte inquietare).
La trama è un pretesto: un anziano magnate deciso a legare il suo nome a un’opera memorabile commissiona un film “da premio” a una regista alla moda (Penelope Cruz al suo meglio, premiarla a Venezia per “Madres paralelas” ignorando questo film fu un gesto di colpevole conformismo). La regista opziona un romanzone ma soprattutto ingaggia due divi opposti in tutto, Antonio Banderas e Oscar Martinez (già protagonista di “Il cittadino illustre”), puntando proprio sulla loro diversità, leggi rivalità.
Il super-macho Felix è infatti una star del cinema spettacolare, una specie di Tom Cruise latino che concentra in sé ogni possibile fragilità senza smettere di esibire i propri successi. Il riflessivo Ivan (riflessivo ma non per questo meno macho), grande nome del teatro impegnato, è invece un intellettuale borioso che disprezza quel collega più giovane, famoso e strapagato, come farà notare ripetutamente durante le prove a tavolino. Mentre la regista, altro bel tipo di narcisista aggressiva, fa di tutto per demolire l’Ego di quei due mostri colpendo basso e forte. In un susseguirsi davvero irresistibile di momenti comici costruiti con molta fantasia e acuto spirito di osservazione. Inframezzati da inattesi “a parte” che proiettano nel cielo della metafora questa commedia più nera di quanto non appaia.
Su tutti la lunga, affascinante, ipnotica inquadratura della macchina trita-documenti che inghiotte e maciulla prima la sceneggiatura, poi un computer, infine un microfono. In un sinistro “cupio dissolvi” che è la cifra segreta e la scena più memorabile di questo film in cui tutti mentono, simulano, manipolano. Fino a cancellare ogni possibile distinzione tra realtà e illusione, verità e (auto) inganno, arte e impostura.
“Finale a sorpresa (Official Competition)”
di Mariano Cohn e Gaston Duprat
Argentina-Spagna, 114’