Il film del franco-canadese Eric Gravel coglie il sentimento della nostra epoca con rara esattezza. Ed è rapido e tagliente come una spada

Full Time, uno spaccato del nostro tempo. Bello da far male

Ci sono film che sembra di avere già sentito ma non avevamo ancora visto. Storie che continuiamo a raccontare aggiungendo ogni volta un ritmo, un tono, una prospettiva, un dettaglio capaci di illuminare una porzione di mondo (anche interiore) più ampia di quella che occupa lo schermo. A prima vista infatti il copione di “Full Time” (“À plein temps”), seconda regia del franco-canadese Eric Gravel (premiato a Venezia con la protagonista, la formidabile Laure Calamy) segue una strada battuta. C’è una madre single, c’è un lavoro impegnativo e non molto gratificante (capocameriera in un hotel a 5 stelle), ci sono un fratellino e una sorellina che vengono scaricati a casa di un’anziana tata quando fa ancora buio e recuperati la sera, perché Julie vive fuori Parigi ed è perennemente fra un treno e l’altro, in lotta contro il tempo.

Ma intorno a tutto questo vive, pulsa, vibra in ogni istante un sentimento dell’epoca (e della comunità in cui tutti volenti e o nolenti siamo immersi), colto raramente con tanta esattezza.

Grazie a Laure Calamy, e a un lavoro minuzioso di inquadrature e montaggio, non solo infatti sappiamo tutto ciò che pensa o sente Julie momento per momento, ma avvertiamo quasi sulla nostra pelle il peso di ogni sua scelta, le sfide continue che affronta per crescere i figli lontano dalla metropoli, e l’indifferenza, o la complicità, o l’ostilità espresse da chi incrocia. Perché c’è sempre qualcuno da convincere o da sedurre, una collega che copre le sue fughe dal lavoro, una capa che può proteggerla o rovinarla, un automobilista gentile che le offre un passaggio (la protesta dei gilet gialli dilaga paralizzando i trasporti).

 

Ma in questa folla tumultuosa di comprimari ognuno ha una parte, una storia, un’identità precisa, anche se si affaccia per pochi secondi. E ognuno rimanda a quel reticolo di rapporti senza il quale semplicemente non esistiamo (rapporti anche di classe e di potere naturalmente: «Se non hai più voglia di pulire la merda dei ricchi questo non è il posto per te», ringhia la superiore alludendo a una sciagurata categoria di clienti detti i “Bobby Sands”, qualcuno ricorderà cosa faceva in carcere il militante dell’Ira per protesta…). Sicché ogni scena è anche uno spaccato, preciso da far male, del mondo in cui viviamo. E tutto in soli 87 minuti, rapidi e taglienti come una spada. 

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Stati Uniti d'Europa - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 11 luglio, è disponibile in edicola e in app