Un filo rosso araboislamico percorre il programma della quinta edizione di Videocittà, il festival dell’audiovisivo che esplora tutti gli aspetti di questa vivacissima branca dell’espressione artistica. L’appuntamento con la rassegna ideata da Francesco Rutelli e diretta da Francesco Dobrovich è nell’area dell’ex Gazometro di Roma da mercoledì 20 a domenica 24 luglio per un’immersione tra installazioni, live, videoarte, virtual reality, nft, talk formativi e divulgativi, spaziando dalla criptoarte al metaverso, alla decodifica cerebrale.
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Una rassegna che ospiterà nell’Opificio 41 una grande mostra collettiva, “Presente Futuro”, e che per cinque giorni cambierà l’aspetto della costruzione simbolo di Roma Sud: all’interno del Gazometro sarà visibile anche da lontano una grande sfera luminosa, del diametro di 20 metri, realizzata dallo studio fuse* e accompagnata da una installazione sonora, “Luna Somnium”, ispirata da un racconto fantascientifico di Keplero.
Tanti gli artisti riuniti intorno al tema della “Transizione digitale ed ecologica”: l’argentino Esteban Diacono, profeta del motion design, e il norvegese Jan Hakon Erichsen, conosciuto come “il distruttore di palloncini; Skygolpe con i suoi ritratti senza volto, Maotik con i suoi algoritmi che creano ambienti in 3D, il lavoro su immagini astratte e buio assoluto dei giapponesi Daito Manabe e Yukiyasu Kamitani, il concerto di Sick Luke, producer che con l'album d’esordio, “X2”, ha conquistato le classifiche degli ascolti streaming.
Una marea di ospiti che creano un labirinto di proposte, tra le quali Arabopolis ha scelto quattro nomi che rimandano in qualche modo al mondo araboislamico, tra Maghreb e Medio Oriente. I loro interventi fanno parte della rassegna Videoarte, curata da Damiana Leoni e Rä di Martino. Da scoprire in ordine rigorosamente alfabetico.
Meriem Bennanni viene dal Marocco ma lavora a New York. Ha creato un suo stile mischiando la cultura pop più trendy alla tradizione del suo paese d’origine in un format adatto alla fruizione su smartphone. E infatti una serie di video creati durante la pandemia, “2 Lizards”, ha avuto un immediato successo virale. Per Videocittà ha scelto tra altre opere un video delirante, intitolato “Guided Tour of a Spill (CAPS Interlude)”, un «documentario speculativo ambientato nel futuro» che unisce video amatoriali provenienti da canali online marocchini e mediorientali, filmati della raccolta Getty e materiali dell’archivio audiovisivo dell’artista. L’opera è parte del progetto “Life on the CAPS”, incentrato su un’isola fittizia in mezzo all'Atlantico che diventa luogo di cultura e di resistenza diasporica.
Anche Karen Cytter, israeliana di Tel Aviv, lavora a New York. Nei suoi video mischia citazioni della Nouvelle Vague francese e del movimento Dogma ai più triti cliché dei social media. Il risultato sono filmati ipnotici, in cui l’immagine e il messaggio viaggiano su piani paralleli, come in “Bad Words”, il video che presenterà a Roma: una narrazione ermetica che passa da un personaggio all’altro, dove lo spettatore finisce per immergersi come «una goccia d’acqua in una goccia d’acqua in una goccia d’acqua».
Rosaling Nashashibi è nata a Londra da padre palestinese, vive a Liverpool, ma nel 2007 ha partecipato alla Biennale di Venezia come rappresentante della Scozia. Lavora con cinema, scultura, fotografia e stampa esplorando la vita quotidiana e i limiti tra realtà e finzione. Il lavoro che presenta a Roma, “Electrical Gaza” è un omaggio alle sue radici, con richiami al contrasto tra la ricerca di una vita “normale” e l’incombere del conflitto con Israele.
Zineb Sedira invece viene dal mondo francofono, ed è attualmente la più famosa di tutte perché rappresenta la Francia alla Biennale di Venezia in corso. Nata a Parigi da genitori algerini, in realtà è cresciuta a Brixton, nel sud di Londra, e questo contrasto di culture è evidente nelle sue opere. Nominata nel 2015 per il Prix Marcel Duchamp, il più prestigioso premio di arte contemporanea francese, ha collaborato con istituzioni come il Centre Pompidou, la Tate Modern, il Mumok di Vienna e lo Sharjah Art Museum. A Roma presenta un’installazione del 2019 intitolata “Mise en scène”, che gioca sull’effetto straniante di immagini enigmatiche riprese da vecchie pellicole rovinate.