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Cultura
luglio, 2022

Ottavia Piccolo: «La Russia di Putin, la mafia, i migranti: la mia scelta di un teatro politico»

La grande attrice predilige di questi tempi i testi in grado di raccontare la realtà. Qui spiega perché. E ripercorre la sua lunga carriera

Venezia è ormai da molti anni la città in cui ha scelto di vivere. Da lì parte e ritorna dai suoi viaggi, ogni volta portandosi dietro nuove emozioni condivise con il pubblico. «In questo momento della mia vita voglio dedicarmi solo a ciò che mi piace» dice. Che tradotto significa: fare teatro raccontando storie. E dunque ecco “Eichamann. Dove inizia la notte”, “Occident Express”, “Cosa nostra spiegata ai bambini”, tanto per citare i titoli degli spettacoli interpretati più di recente, tutti scritti da Stefano Massini.

Ottavia Piccolo, attrice dalla carriera lunga e luminosa, si lascia andare ai ricordi. «Sono stata molto fortunata nella mia vita, questa è la verità», dice sorridendo. Intanto, il suo talento continua ad essere apprezzato. La città di Jesi le consegnerà il 2 agosto il “Premio Valeria Moriconi - Protagonista della scena 2022”. «Amo molto raccontare storie, ma ammetto di sentirmi spaesata oggi a confrontarmi con i classici del teatro, forse perché ne ho affrontati già molti in passato - spiega -. Preferisco i testi di Stefano Massini, che offrono sempre nuovi spunti capaci di coinvolgermi, e le piccole produzioni. Ho quasi 73 anni, alla mia età sono molto contenta di quello che ho fatto. Ecco perché scelgo il teatro che amo».

Ottavia, la sua prima volta sul palcoscenico arrivò grazie ad un provino. Aveva solo 10 anni e finì per recitare la parte di Helen in “Anna dei miracoli” con la regia di Luigi Squarzina. Come andò, se lo ricorda?
«Me lo ricordo molto bene. Mia madre lesse l’annuncio del provino sul giornale e decise di accompagnarmi al Teatro Quirino. Noi abitavamo a Roma in una casa popolare a San Paolo, che all’epoca era considerata periferia. Per strada c’erano le pecore. Partimmo da lì in tram per “andare in città”, così si diceva quando ci si muoveva verso il centro».

E una volta arrivate al Quirino cosa accadde?
«Trovammo delle mamme scatenatissime, una situazione simile a quella del film “Bellissima”. Feci il provino. La bambina che dovevo interpretare era cieca e sordomuta, quindi mi bendarono e mi chiesero di muovermi nel foyer, ma diedi una capocciata alla colonna! Però non gridai, perché la giovane era muta... Ecco perché mi presero. Né io né mia madre eravamo mai state in teatro prima di allora. Per me iniziava un gioco meraviglioso e una tournée che durò sei mesi. Lasciai la scuola per un anno. Poi ripresi gli studi, ma mi fermai alla terza media, perché non ho mai più smesso di lavorare».

Anche il suo esordio nel cinema non fu proprio in un film qualunque: “Il Gattopardo” di Luchino Visconti. Era il 1962. Come avvenne l’incontro?
«Dopo il debutto teatrale cominciarono a girare delle mie foto e proprio in quel periodo Visconti, che io ovviamente non sapevo chi fosse, cercava una giovane che interpretasse una delle figlie del principe di Salina, Caterina. Così mi sono ritrovata per due mesi a Palermo, su un set cinematografico in mezzo a luci, costumi, trucchi. Mi sembrava di essere in una banda di pazzi, ma io ero completamente a mio agio, mi sentivo a casa. Mia madre mi diceva: “Se non te la senti, domani torniamo casa”. Ma io restavo».

Dopo gli esordi con Squarzina e Visconti non si è più fermata, dalla compagnia dei Giovani di De Lullo al film di Germi “Serafino”, fino a oggi. Ma quali sono stati gli incontri che l’hanno segnata più di altri?

«Direi che ho avuto tre grandi maestri: Luchino Visconti, Giorgio Strehler e Luca Ronconi. Per quanto riguarda Visconti ero troppo giovane per instaurare un rapporto di amicizia, ma pendevo dalle sue labbra. Di Strehler ricordo le grida, quando arrivavo in teatro - avevo 15 anni e recitavo nel suo spettacolo “Le baruffe chiozzotte” - mi veniva la febbre perché sapevo che mi avrebbe urlato di alzare la voce! Ma quando recitai in “Re Lear” acquistai più sicurezza. “Orlando furioso” di Ronconi, invece, è stata un’esperienza unica. Eravamo 40 attori giovani e sapevamo di recitare in uno spettacolo rivoluzionario».

Nella sua carriera ci sono anche il cinema e la televisione, ma il teatro resta il suo grande amore a quanto a pare
«Si, il teatro per me è tutto. Mi piace anche frequentarlo. Amo gli spettacoli di Emma Dante, per esempio. E negli anni sono rimasta affascinata dai lavori di Peter Brook. E poi ho adorato Mariangela Melato. Ci telefonavamo per dirci: “Ma tu quando leggi un copione, lo capisci?”. Il cinema mi piace, ma mi pare di non essere mai padrona di me stessa. L’unica donna che aveva il controllo su tutto era Monica Vitti. Tant’è vero che si diceva “è una rompicoglioni”. Se fosse stato un uomo ovviamente si sarebbe detto “è un professionista”».

Negli ultimi anni a teatro lei sceglie di raccontare storie di denuncia o di grande attualità. Possiamo definirlo un teatro “politico”?
«Sì, lo è. Ma io credo che il teatro abbia sempre raccontato la nostra società. Quando leggo i testi di Stefano Massini sento l’urgenza di portarli in scena. “Occident Express”, per esempio, è una storia di migrazioni, che ricorda le vicende dei nostri nonni emigrati in America».

“Cosa nostra spiegata ai bambini”, che verrà ripreso nella prossima stagione, ci ricorda chi era Elda Pucci. Qual è la sua storia?
«È la storia di una donna che ha avuto la grande forza di combattere la mafia. Il 19 aprile del 1983 per la prima volta a Palermo veniva eletto un sindaco donna. Ma Elda ha governato per un anno solo. Lo spettacolo ripercorre proprio quell’anno, fra attentati e guerre di mafia. Ma a dispetto del titolo non è uno spettacolo per bambini. La regia è di Sandra Mangini. In scena con me ci sono i Solisti dell’Orchestra multietnica di Arezzo».

Da tanti anni porta ancora in scena “Donna non rieducabile”, dedicato ad Anna Politkovskaja, la giornalista russa uccisa nel 2006. Aveva previsto tutto?
«Aveva previsto e scritto tutto. Ho riletto proprio di recente il suo libro, “La Russia di Putin”. Il nome di Putin non viene mai citato nello spettacolo, ma il messaggio arriva dritto come una cannonata. Ormai ho come la sensazione che ci si abitui a ogni cosa, perfino alla guerra. Anche per questo credo sia importante continuare a raccontare».

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