C’è qualcosa che ancora non abbiamo capito di “Nel blu dipinto di blu”, meglio nota come “Volare”? A spiegarcelo sarà addirittura Bob Dylan, che alla veneranda età di 81 anni continua a stupire. Sta per uscire un libro che potremmo idealmente immaginare come la lectio magistralis sull’arte della canzone che Bob Dylan avrebbe dovuto pronunciare alla consegna del Nobel per la letteratura, ma non pronunciò perché, come disse all’annuncio del conferimento, «grazie ma purtroppo quella sera ho già un impegno».
Il libro si intitola con piglio solenne e vagamente accademico “The philosophy of modern song”, e sarà pubblicato a novembre dalla casa editrice Simon & Schuster che l’ha annunciato con queste parole: «È una classe di perfezionamento sull'arte e la tecnica della scrittura di canzoni: Dylan esamina quella che lui stesso chiama la “trappola delle rime facili”, analizza come l'aggiunta di una sillaba può sminuire una canzone e spiega come il bluegrass sia parente dell'heavy metal. Sono una meditazione sulla condizione umana».
Inutile dire che l’attesa è febbrile, Dylan si è deciso, piuttosto tardi va detto, a scrivere il suo personale Vangelo, molti anni dopo la pubblicazione della sua autobiografia, uscita col provocatorio titolo di “Chronicles Vol.I”, alla quale ovviamante non ha mai fatto seguito, almeno per ora, un secondo volume.
Dylan che spiega l’arte della canzone è a tutti gli effetti una notizia clamorosa, e per il pubblico italiano è ancora più sorprendente perché tra le 66 canzoni che Dylan ha scelto come esempi da analizzare c’è il capolavoro del 1958 scritto da Franco Migliacci e Domenico Modugno, l’unica canzone italiana, cantata in italiano, che abbia realmente spopolato in America, vincendo un Grammy dopo aver vinto Sanremo e l’Eurovision. In linea col suo stile arguto e imprevedibile, la lista delle 66 canzoni è tutt’altro che scontata.
A classici come “Blue moon” (ma nella versione di Presley) e “Strangers in the night” si alternano molti pezzi che risulteranno ai più del tutto sconosciuti, come “By the Time I Get to Phoenix” di Glen Campbell oppure “Old and Only in the Way” di Charlie Poole. Elvis, Johnny Cash, Ray Charles e Sinatra vantano il sommo onore di comparire ben due volte, e ci sono classici più noti e rassicuranti, tipo “Don’t let me be misunderstood” di Nina Simone o “London calling” dei Clash. E poi Little Richard, Roy Orbison, Jackson Browne, gli Who.
L’elenco è già in sé una piccola lezione di storia della musica, o meglio della sua varietà, della sua infinita ricchezza, attraverso percorsi che vanno da Ray Charles ai Platters fino a Domenico Modugno, unico italiano. Ancora più singolare considerando che la lista è in nettissima prevalenza americana e che tra le 66 canzoni in grado di spiegare la filosofia moderna della canzone non c’è neanche una canzone dei Beatles. Dei Beatles no, ma di Modugno sì.