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Cultura
settembre, 2022

«Il mio Prisma, un racconto queer che rende la crisi identitaria un’opportunità»

C’è stata imposta una binarietà, non solo rispetto ai generi, una società divisa su due poli. E stiamo assistendo alla sua destrutturazione. Ludovico Bassegato, già autore di Skam, ora firma il progetto su Prime Video. E ne parla con il “suo” attore Pietro Turano

Ludovico Bessegato ed io abitiamo a pochi chilometri di distanza nella città disgraziata che è Roma, ci incontriamo su una terrazza di Porta Venezia a Milano che è la sua città natale. Un aperitivo a base di snack giapponesi: patatine al sapore di spiedini arrosto e fragole disidratate, presi per sua curiosità in via Paolo Sarpi. È una delle persone più bambine e allo stesso tempo adulte che io conosca, sensibilissimo e tremendamente cinico. Nel suo spettro ci si perde e poi ritrova con nuove domande. Ci conosciamo da quando sono entrato nel cast di "Skam" Italia, di cui lui è regista e autore ma soprattutto showrunner. Di "Skam" Italia è appena uscita la quinta stagione su Netflix, ma ho incontrato Ludovico per dialogare sul suo nuovo progetto seriale, del quale avevo letto la prima stesura per una consulenza: "Prisma", disponibile su Prime Video dal 21 settembre. La produzione è sempre Cross Productions, che sta confermando di essere la più attenta alla contemporaneità.

 

Ludovico: «Ricorderai il momento in cui è nata "Prisma" perché lo abbiamo vissuto insieme: non si sapeva se "Skam" sarebbe andato avanti ed eravamo appesi, anche tu. Sulla quarta stagione avevo puntato tutto, rifiutato lavori, fatto tanta ricerca. Mi sembrava di essere rimasto con nulla in mano e non riuscivo a immaginare da dove ripartire. Li mi è venuta in soccorso Alice Urciuolo, che stava lavorando a questo nuovo progetto».

 

Al centro due liceali, i gemelli Andrea e Marco (Mattia Carrano). Nuotatori, belli e misteriosi, alla ricerca della propria identità e del proprio spazio nel mondo: quel mondo che per adesso è Latina. Andrea è un ragazzo che sta indagando la propria identità di genere, mettendo in discussione gli stereotipi della mascolinità. In effetti anche Marco si scontra più o meno consapevolmente con i ruoli e le aspettative della società. Intorno a loro si intrecciano i percorsi di Nina, Carola, Daniele e una comunità di persone che a ben vedere si stanno tutte confrontando con dei canoni che sembrano non bastare. Non sono freak ma adolescenti qualsiasi, in crisi.

 Dialogo tra l’attore e attivista LGBT Pietro Turano e il regista Ludovico Bessegato

Il percorso di Andrea, che mette in crisi un modello a cui sente di non appartenere, in realtà mette in luce il "Prisma" di tutti i personaggi. Con le dovute differenze vivono la prima radicale crisi identitaria. Ci hanno sempre raccontato la crisi come il primo passo dentro il regno della morte, principio di fallimento. “"Prisma"” sembra parlare di crisi come opportunità, questo è queer.

 

«"Prisma" è una serie corale che vuole dire la stessa cosa su tanti piani diversi. C’è stata una binarietà, non solo rispetto ai generi, di una società divisa su due poli: destra e sinistra, lavoro a tempo determinato e indeterminato, single o sposato, maschio o femmina. Sempre due percorsi contrapposti, vite incasellate. Credo che stiamo assistendo ad una destrutturazione della società. Riguarda tutti, ma i più giovani nascono dentro questa condizione e spesso non sentono più le identità così disegnate, la strada segnata. Vanno in crisi, e ogni personaggio di "Prisma" procede in questa direzione, non solo Andrea. Marco è un campione di nuoto e allo stesso tempo è fragilissimo, ma anche aggressivo, per certi versi insicuro e per altri assertivo: sfugge ad una singola definizione e non riesce a orientarsi. Carola, rispetto a una lettura classica della disabilità, ci aspettiamo che sia insicura rispetto al proprio corpo. Invece la vediamo perfettamente consapevole e forse più di ogni amica è desiderosa del potere del suo corpo, in senso positivo e non deteriore. Anche lei si pone degli interrogativi rispetto alla sua identità e non necessariamente legati a questo aspetto. Io sento dire che siamo in crisi da quando ho cognizione di me, forse è una condizione ineluttabile».

Sembra quasi uno strumento di ricatto, di terrore.
«Se siamo sempre in crisi forse la verità è che non esiste un momento alternativo. Forse è la condizione dell’essere vivente in costante dialettica con l’alternativo da sé che è la morte, la sparizione. La crisi è movimento e le persone sono sempre in movimento. Penso che accettare la complessità permetta di fare ciò che vogliamo: se non sappiamo dove andare possiamo andare ovunque».

Dal tuo racconto sembra che "Prisma" sia nata nello spazio aperto da una crisi. Anche in questo senso la crisi ha rappresentato un’opportunità creativa.
«È una bella metafora. L’esigenza era quella di riprendere i principi ereditati da "Skam", ma con alcune differenze. Ci interessava provare a sviluppare soluzioni narrativamente più complesse. Quando all’interno del caos riesci a trovare un senso, la soddisfazione è enorme».

Anche di Andrea raccontate più le domande che le risposte.
«Inizialmente doveva avere un’identità più chiara e consapevole, più binaria verso il femminile. Alla fine abbiamo scelto una condizione di non binarietà, più fluida, perché forse ancora non sa dove atterrerà e in questa fase sta discutendo con ciò che prima dava semplicemente per scontato».

C’è un argomento di cui noi parliamo spesso: l’importanza della rappresentazione e della rappresentanza. Ovvero non solo l’urgenza di rappresentare pezzi di mondo narrativamente marginalizzati o peggio sviliti, ma anche di dare dignità professionale alle persone che abitano quei pezzi di mondo. Ha a che fare con la visibilità, con i corpi, con l’espressione di sé. Tutti temi che hanno a che fare anche con "Prisma". Che valore ha avuto questo discorso nei vostri casting?
«Ci sono due istanze entrambe valide che vanno bilanciate: da una parte c’è quella dell’attrice o attore che rivendica il diritto di poter essere messo alla prova con ruoli lontani da sé. Dall’altra ci sono attori e attrici che appartengono a delle minoranze e che legittimamente si lamentano quando constatano di non essere considerate su ruoli apparentemente lontani da loro, scavalcate da persone che invece potrebbero fare qualsiasi ruolo e che si trasformano per quei ruoli senza che lo stesso discorso valga per loro. Io non sono stato sempre così consapevole e forse in passato ho fatto errori, ma in "Prisma" ci abbiamo riflettuto molto. Nel caso di Andrea era complicato perché avremmo raccontato un personaggio che lungo la serie viveva un enorme cambiamento: se fosse stata una ragazza trans sarebbe stato più semplice e corretto cercare attrici trans. Andrea è molto lontano da quella dimensione e difficilmente una ragazza trans avrebbe potuto o voluto portare in scena quella storia, sarebbe stato doloroso o faticoso “tornare indietro” su un percorso simile. Noi non stiamo fotografando una condizione ma stiamo cercando di osservare cose che non possiamo prevedere, per questo la scelta è ricaduta su chi in quel momento potesse aderire meglio al punto di partenza che per ora conosciamo. Anche il fatto di dover interpretare il proprio gemello aggiungeva complessità. Con Andrea volevamo indagare la condizione di chi davvero non trova le parole, non si trova nei termini e nei modelli conosciuti, che si sente a disagio. In altri casi e per altri ruoli è stato diverso e abbiamo voluto testimoniare percorsi e momenti diversi dello spettro transgender e non solo, coinvolgendo persone trans o con disabilità».

 

Penso a Crialese che a Venezia ha fatto coming out come persona transgender presentando il film “L’immensità”, sulla storia di un bambino transgender. La scrittrice Camilla Vivian ha raccontato che Crialese le chiese aiuto per cercare un bambino transgender che interpretasse il protagonista. Durante la ricerca Crialese capì però che le vite delle giovani persone trans erano già troppo delicate per coinvolgerne una in quell’esperienza. Voglio dire che da un lato esiste la dimensione politica, ma non per questo possiamo appiattire la complessità della realtà. Mi ha fatto riflettere.
«Io cerco di non essere prepotente, di ascoltare le persone e avere attenzione».

Rispetto alla serialità trovo una dicotomia, fra l’estrema semplificazione e polarizzazione generale delle cose (che poi è binarietà) e l’impressionante sviluppo del formato, che invece permette grande approfondimento. In questo universo frenetico, guardare una serie in una notte come se fosse un film di sei ore, non è rettilineo rispetto a una norma. Senza farne una questione gerarchica, in questo senso trovo la serialità un po’ queer rispetto alla cinematografia tradizionale. In effetti appartiene molto, per quanto mainstream, alla popolazione più giovane.
«La serie si trasforma e la verità è che tu la inizi e non sai come finirà. Un film lo concepisci tutto insieme, lo finisci, lo metti su uno scaffale e quello è il risultato del lavoro. Se "Prisma" continuerà, cambierà con me e con la società: questo rende la narrazione più fluida. Forse anche questo piace ai ragazzi».

Quasi un’interdipendenza. Però questo contatto diretto, questa possibilità di approfondire e influire, a volte prende una deriva per cui il pubblico si aspetta dei manifesti, dei manuali, dei testi didattici. 
«Il mio mestiere non è scrivere una piattaforma politica o programmatica ideale. Nel momento in cui parlo di Martino, Filippo, Elia, Andrea, non voglio parlare di diritti Lgbt+, islam o di micropene, ma di personaggi che riflettono delle condizioni. Condivido quello che ha detto Bazzi recentemente: è sbagliato pretendere che gli autori offrano modelli di comportamento. Raccontiamo storie, che possono indirettamente trasferire lo spirito del nostro tempo. Poi nello scegliere quale società raccontare è evidente che passi una visione politica e una responsabilità sociale. Vorrei solo aiutare a vedere quello che abbiamo intorno: questo è politico ma non ideologico. Il lavoro grosso, e lo sai meglio di me, è abituarci a vedere che le persone esistono e meritano spazio. Prima da essere umano e poi da narratore, a muovermi è la curiosità: quando scopro un angolo che mi colpisce, sono ansioso e curioso di farlo vedere anche agli altri. Ora assaggia questi biscotti al biancospino»

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