Per riprendersi da un incidente devastante, uno scrittore decide di ignorare i medici e attraversare l’intera Francia a piedi, dalla Provenza alla Normandia. Saranno 1300 chilometri di bellezza, pericoli, incontri casuali, fatica estrema. E ininterrotto dialogo interiore.
Chi conosce il libro da cui nasce il film, “Sentieri neri” di Sylvain Tesson (Sellerio), sa che oltre al confronto con i paesaggi, tendenti come in ogni vero viaggio a diventare tutt’uno con il viaggiatore, il percorso si nutre anche dei libri citati dall’autore. Nella versione cinematografica resta una frase isolata di Thoreau, offerta dal protagonista a un giovane con cui condivide per caso alcuni giorni di cammino. Dono tanto più importante che il ragazzo sembra andar fiero della propria ignoranza, o meglio ignora i meccanismi di esclusione sociale che lo condannano a detestare ogni forma di sapere.
Questo confronto fra l’Adulto e il Giovane è anche uno dei non pochi bei momenti di un film affascinante quanto discontinuo, sospeso fra opposte tentazioni. Da un lato il rigore, la solitudine, il silenzio, anche se è un silenzio “abitato” da una voce narrante, convenzione antiquata ma accettabile («Molti sognano di passare alla Storia. Ma c’è chi preferisce sparire nella Geografia»). Dall’altro l’esigenza di chiarire, arredare, abbozzare un personaggio e una psicologia.
Ed ecco flashback e spiegazioni in eccesso, ecco altri personaggi, soprattutto femminili, deboli e convenzionali. Peccato perché nella parte consacrata al viaggio, prevalente, il film, dominato da un Jean Dujardin di asciuttezza minerale, oltre a essere un’ottima introduzione al lavoro di Tesson, scolpisce diversi momenti memorabili. Su tutti l’incontro con quel monaco sensibile, come lo scrittore, «all’esperienza spirituale della pietra viva».
Chi può recuperi il magnifico “La pantera delle nevi”, docu tibetano con lo stesso Tesson e il fotografo naturalista Vincent Munier, un gioiello passato in sala come una meteora. Ma anche “A passo d'uomo”, un milione di spettatori in Francia, vale largamente la visione.
A PASSO D’UOMO
di Denis Imbert,
Francia, 95’