L'autrice di "Le ragazze di Gaugin". E il collaboratore preferito di Alda Merini. Uniti per un disco omaggio che ripropone i successi dei due grandi degli anni Settanta: da "Ciao amore ciao" ai dischi che fecero della cantante italo-egiziana una star della musica francese. Dalla newsletter de L'Espresso sulla galassia culturale araboislamica

Arpeggi jazz al pianoforte, un filo di tromba e una voce femminile che canta «Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare». Mentre è una voce di uomo a far rinascere il ritmo greco di “Darla Dirladada”, grande successo del 1970 che riecheggia ancora nella versione francese (ma con un fortissimo accento italiano) di Dalida. 

Lo scambio di ruoli è il biglietto da visita di “Una storia d’amore”, omaggio di Grazia Di Michele e Giovanni Nuti alla cantante italofrancese e a Luigi Tenco: collega, amore e compagno di duetti come quello di “Ciao amore ciao”, cantato insieme al Festival di Sanremo del 1967, nella serata dell’eliminazione che lo portò al suicidio. In uscita il 24 novembre, l’album sarà presentato il 23 in un concerto allo Spirit de Milan, nel quadro della Milano Music Week.

 

Diciotto canzoni – sedici cover e due inediti – che ripercorrono la carriera di due cantanti indimenticabili, grandi e infelici. Come Dalida, nata al Cairo e accompagnata per tutta la tua folgorante carriera tra Italia e Francia dal fascino orientale che le derivava dalla sua formazione egiziana. Donna dei record (140 milioni di dischi venduti, fino ad aggiudicarsi il primo "Disco di platino", categoria che fu inventata per lei) e degli omaggi anche recenti (dal biopic con Sabrina Ferilli al rap "Dalida" dell'algerino Soolking, disco di platino nel 2018). 

La sua vita è stata piena di drammi, malattie e tristezza, fino al suicidio nel 1987, ma anche di successi sfolgoranti e pieni di allegria: uno su tutti: il sirtaki di “Zorba il greco” inciso in tre lingue diverse, o il “Laissez-moi danser» reinterpretato da Nuti in questo omaggio. O la sua versione di “Quelli eran giorni”, successo cantato da tante interpreti, dove cantava: «Vivevamo in una bolla d’aria che volava sopra la città, la gente ci segnava con il dito dicendo: guarda la felicità!».

«La vita di Dalida sembra dare un insegnamento», commenta Di Michele, cantautrice che ha alle spalle una lunga carriera, da “Le ragazze di Gaugin” a “Cantautrici”, disco-tournée con Rossana Casale e Mariella Nava. «I dolori restano nel cuore delle persone come un male incurabile, che prima o poi ti presenta il conto. Questa artista ha vissuto problemi di salute da piccola, ha conosciuto il dramma di un padre scosso dall'esperienza della prigionia di guerra, di uomini amati che si sono tolti la vita; ha vissuto lo sconcerto di una guerra e la lunga stagione dei conflitti sociali. Per quanto affascinante, bellissima, talentuosa e amata dal pubblico, Dalida ha fatto i conti con i suoi dolori, e questi alla fine hanno avuto il sopravvento». Lo conferma Nuti: «Era una diva internazionale ma non rinnegò mai le sue origini. Cantò in arabo e fu sempre legata all’Egitto dove era nata in un sobborgo del Cairo e dove ritornerà nel 1986 per girare "Le sixième jour", film di Youssef Chahine, il cineasta più importante del Medio Oriente».

Nuti, che ha lavorato per sedici anni con Alda Merini, realizzando con lei numerosi spettacoli e quattro dischi, sottolinea come malgrado i tanti successi di “musica leggera”, Dalida sia stata anche un personaggio impegnato: «Dimostrò sempre una grande sensibilità per le cause sociali e non poteva che essere attenta al tema dei migranti. E l'ha cantato non solo in “Ciao amore ciao”, la canzone di Luigi Tenco con cui spesso concludeva i suoi concerti, ma anche in una delle ultime canzoni che ha inciso: “Le Vénitien de Levallois”, in cui dice «De tous les ghettos de la terre / Ils sont venus d'Afrique ou de Pologne. / Le ciel n'appartient à personne / Il porte un drapeau couleur de liberté (Da tutti i ghetti della terra / Sono venuti dall'Africa o dalla Polonia. /Il cielo non appartiene a nessuno /Porta la bandiera del colore della libertà)».

 

E Tenco? La parola a Di Michele: «Amo Luigi Tenco, la sua semplicità, la sua profondità, la sua poesia. Interpretare vuol dire diventare uno strumento espressivo tra un autore e il pubblico: occorre comprendere bene le intenzioni, gli umori di chi scrive, dare il senso e peso giusto alle parole, e comunicare un’emozione. Con Tenco ho solo cercato di rispettare tutto questo filtrandolo con la mia sensibilità». Nuti si sente altrettanto vicino a Dalida: «L’ho sempre amata e ammirata. Per le sue doti di interprete ma soprattutto per la sua capacità di darsi completamente al suo pubblico, e di trasmettere la sua forza ed energia di donna ma anche il suo dolore e la sua fragilità. Ho scelto poi quelle canzoni del suo repertorio che considero più significative e rivelatrici della sua cifra umana, quelle più legate alla sua esperienza di vita. Le interpreto a modo mio, ma spero che si colga il mio amore e il mio rispetto per lei». 

E si sente: basta ascoltare nell’album “Non andare via”, versione italiana di quel capolavoro che è “Ne me quitte pas” di Jacques Brel. Oppure, eternamente struggente, "Col tempo" di Léo Ferré. Per finire con “Piccole e grandi cose di te”, il singolo che in questi giorni lancia il disco: un inedito ispirato all'amore incompiuto Di Dalida e Tenco, che Di Michele e Nuti cantano in duetto come se la storia tra i due grandi cantanti fosse ancora da scrivere: «Amore dove siamo, se davvero siamo, e dove ci fermiamo, se mai ci fermeremo? Avremo mai una casa, o un'ultima scusa?»

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