Una selezione di libri scritti da “women of color”: per chi, come me, considera le vituperate “quote rosa” un sistema imperfetto ma necessario per mettere in luce gruppi di persone trascurate in passato, la selezione curata da R.K.Kwon su “Electric Literature” è una festa. L'etichetta “women of color” unisce autrici di origine africana, asiatica o sudamericana, e comprende chiunque appartenga alla galassia Lgbt e accetti la definizione di donna. Quasi tutte le autrici sono di lingua inglese: del resto da una selezione curata in ambiente anglofono non ci si può aspettare una grande apertura verso i libri tradotti. Kwon ne indica 62, e per ogni voce c'è il link alla scheda del libro: qui ne trovate una lista più piccola, con i nomi e i libri più vicini agli interessi della newsletter Arabopolis, meglio ancora se sono già stati già tradotti in italiano.
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Deena Mohamed è l'autrice del cartoon “Shubeik Lubeik” dove Il Cairo diventa teatro di una storia che unisce femminismo e fantascienza. Il libro è uscito in arabo e in inglese, le due lingue che lei divide così: usa l'inglese per denunciare l'islamofobia e l'arabo per parlare di femminismo.
Tracey Rose Peyton firma un romanzo sulla schiavitù nelle piantagioni del Texas: in “Night Wherever We Go” racconta la ribellione di sei giovani donne contro i loro padroni.
Tania James: che voglia di leggere “Loot”, un'avventura che inizia nell'India sotto il dominio coloniale inglese. Abbas, giovane e geniale scultore, costruisce per il sultano locale un automa a forma di tigre, un'impresa che lo porta a collaborare con il genio dell'orologeria francese. E quando la tigre viene rubata dagli inglesi, farà di tutto per recuperarla.
V.V. Ganeshananthan: “Brotherless night” racconta la guerra civile nello Sri Lanka attraverso la storia di una donna che fa il medico in un ospedale clandestino delle Tigri Tamil.
Tsitsi Dangarembga: scrittrice e regista dello Zimbabwe, ha pubblicato da poco una raccolta di saggi decisamente in tema con questo articolo: “Black and female”.
Lamya H: “Hijab Butch Blues” unisce saggio e autobiografia raccontando come l'autrice, nata in Asia, cresciuta in Medio Oriente ed emigrata negli Usa, trova la forza di affermare la propria identità immedesimandosi in un personaggio del Corano (e dei Vangeli): la Madonna.
Ayòọbámi Adébáyò: “A Spell of Good Things” intreccia due famiglie nigeriane in una storia d'amore, politica e scontri di classe.
Mariana Enriquez: ha scritto un romanzo, “La nostra parte della notte”, già disponibile in italiano (da Marsilio). Si tratta di un pastiche che riporta in vita in Argentina tutti gli ingredienti dell'horror classico, fantasmi, possessioni e sette demoniache.
Sharon Dodua Otoo: già pubblicata in italiano (“Una stanza per Ada”, NN) e vista al Festivaletteratura di Mantova, è una scrittrice di origine ghanese, è nata a Londra ma scrive in tedesco. E nel suo romanzo attraversa secoli, culture e continenti seguendo il destino di quattro donne unite solo dal nome, Ada.
Jenny Odell: tra tanti romanzi, spicca il saggio su “Come non fare niente. Resistere all'economia dell'attenzione” (tradotto in Italia da Hoepli), dove l'artista californiana consiglia tattiche per riappropriarsi del proprio tempo.
Dina Nayeri: nel romanzo “Rifugio” (in italiano da Piemme) la scrittrice di origine iraniana ha raccontato la storia di un “rifugiato ingrato”. Nel saggio “Who gest believed” analizza le situazioni di sfiducia che accolgono i rifugiati lungo il loro cammino in una nuova società.
Rachel Heng: la scrittrice di Singapore è maestra nell'inventare trame distopiche che toccano i nervi scoperti della società contemporanea. “Suicide club” (in italiano da Nord) inventa una congiura per procurare ai ricchi vita eterna ed eterna giovinezza. In “The Great Reclamation” invece un bambino si accorge di avere il dono di scoprire isole mobili ed invisibili, preziosissime quando l'esercito giapponese invade la sua città.
Sarah Cypher: il suo romanzo “A skin and its girl” parte dal fantastico per raccontare l'esilio di una famiglia palestinese. Tutto comincia in un ospedale americano, dove una bambina che sembra nata morta riprende a vivere mentre la sua pelle diventa blu cobalto: un doppio miracolo che la zia della narratrice mette in relazione con un segreto di famiglia...
Samantha Irby: finalmente si ride, con i racconti autobiografici della comica americana che nel volume “Quietly hostile” trasforma la vita quotidiana in sketch: un critico li ha definiti «miss-your-subway-stop and spit-out-your-beverage funny».
Kelly Hayes and Mariame Kaba: “Let This Radicalize You” è un manuale per aspiranti attivisti che nasce dall'esperienza del covid e cerca di far tesoro del senso di unione nato nei mesi di lotta comune contro la pandemia.
Camille T. Dungy: il razzismo trova sempre nuovo terreno di scontro. In “Soil: The Story of a Black Mother’s Garden” Dungy racconta la sua lotta per poter piantare fiori di sua scelta quando abitava a Fort Collins, un quartiere bianco del Colorado. I residenti infatti dovevano sottostare all'imposizione di piante scelte in base a gusti e tradizioni wasp, e lei per sette anni porta avanti la sua resistenza in nome delle radici afroamericane ma anche della diversità della natura.
Rita Chang-Eppig: il mondo dei pirati non era guidato solo da uomini, e non era solo una guerra tra occidentali e arabi: “Deep as the Sky, Red as the Sea” racconta le avventure di Shek Yeung, piratessa cinese.
Alejandra Oliva: interprete dei migranti che cercano di passare il confine tra Messico e Stati Uniti, in “Rivermouth” racconta persone, storie e dilemmi quotidiani di chi lavora tra i richiedenti asilo.
Etaf Rum: In “Evil eye” Yara, per sfuggire alla sua famiglia di musulmani palestinesi trapiantati a Brooklin ma molto tradizionalisti, accetta di sposarsi con un imprenditore, ma non è una buona idea. Rum, lei stessa americana di origine palestinese, ha già pubblicato in italiano “La donna senza voce” (Piemme).