Lo sanno bene gli oltre 120mila studenti della più grande università d’Europa. E con ogni probabilità anche i 3.500 docenti. Secondo la leggenda la statua di Minerva, nella piazza centrale di Sapienza Università di Roma, non va mai guardata negli occhi pena la bocciatura all’esame successivo. Incute una certa soggezione la divinità romana, vista dalla finestra dell’ufficio della rettrice. Antonella Polimeni, medico specialista in odontostomatologia, è la prima donna al vertice dell’ateneo romano da quando papa Bonifacio VIII lo fondò nel 1303 con la sua bolla, che oggi campeggia su una parete della stanza. Mentre si avvicina il giro di boa di metà mandato (scadrà nel 2026), facciamo il punto sui temi caldi della formazione: divario di genere, diritto allo studio, opportunità di lavoro, professioni del futuro.
Polimeni, lei è la prima rettrice della Sapienza dopo sette secoli. Nel frattempo Giorgia Meloni è diventata premier, Elly Schlein segretaria del Pd. Tira un’aria nuova per le donne?
«La società italiana attraversa cambiamenti profondi, impensabili fino a pochi anni fa. Riguardo alla presenza femminile, improvvisamente ci siamo allineati ai Paesi scandinavi (sorride). Alle ultime elezioni alla carica di rettore, in diversi atenei, si sono presentate più candidate, un segno importante. La prima rettrice italiana è stata Biancamaria Tedeschini Lalli, nel 1992. Sarà un bel giorno quando non si dovrà salutare come un evento eccezionale».
In Italia le rettrici sono dieci a fronte di 74 rettori. E nelle università italiane la maggior parte dei ruoli accademici apicali è riservata agli uomini.
«Vero, le donne restano una minoranza. Mentre tra ricercatori e professori associati si nota un trend positivo, nella fascia dei docenti ordinari la presenza femminile è più ridotta. Oggi alla Sapienza la percentuale si attesta tra il 28 e il 29 per cento, superiore alla media nazionale ferma al 26. Nell’area umanistica il divario è maggiore, molto minore in quella scientifica, bassissimo nell’area medica, da cui provengo».
È favorevole alle quote rosa?
«La legge sulle quote rosa è stato uno strumento utile per infrangere un blocco che riguardava le società partecipate e quelle quotate in Borsa, per consentire l’ingresso delle donne nei consigli di amministrazione. Ora bisogna lavorare sulla decostruzione degli stereotipi sulle ragazze, serve un’alleanza forte tra scuola e università. Ma c’è un altro tema fondamentale».
Quale?
«Dobbiamo aumentare il numero di laureati nel nostro Paese, siamo al penultimo posto nella classifica dell’Unione europea. Un problema che occorre affrontare con diverse azioni: orientare i nostri ragazzi nella scelta dell’università, con la consapevolezza che lo studio consente di ottenere migliori opportunità di lavoro e allunga la vita, anche se in alcune aree esiste un disequilibrio tra offerta di lavoro e quantità di soggetti formati. Le università devono offrire corsi di laurea sempre più contaminati di saperi diversi, più vicini al mondo del lavoro».
Come si muove Sapienza Università di Roma?
«Qualche esempio. Abbiamo attivato un corso di laurea in Medicina e Chirurgia HT, “high technology”, contaminato con le discipline ingegneristiche, che consente a chi compie il percorso per formarsi come medico di acquisire contemporaneamente anche la laurea in Ingegneria biomedica. Inoltre stiamo sperimentando moduli “minor” per far incontrare saperi diversi, competenze scientifiche e umanistiche: tra gli altri un corso di intelligenza artificiale e filosofia, che sta andando benissimo, e uno di Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione».
L’ultimo rapporto AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati segnala un forte divario di genere. Donne più motivate e intraprendenti, uomini più occupati e pagati. L’ateneo da lei governato conferma questa tendenza?
«Sì. Alla Sapienza abbiamo un gran numero di laureate con performance accademiche brillanti in tutte le aree. Nelle Stem (Scienza, tecnologia, ingegneria, matematica, ndr) le donne restano una minoranza, anche se nell’ultimo anno accademico registriamo un incremento di poco più dell’11 per cento del numero di iscritte, grazie alle attività di mentorship e alle borse di studio come #100ragazzeSTEM, rivolte a ragazze residenti fuori dal Lazio, diplomate con 100/100 e immatricolate a un corso di laurea in discipline scientifiche. Il gap di genere in quell’area è ancora molto forte».
Nelle università italiane sono diminuite le immatricolazioni, anche per effetto della pandemia. E alla Sapienza?
«Noi registriamo un dato positivo, in controtendenza, una crescita di oltre il 2 per cento delle immatricolazioni ai corsi di laurea e laurea magistrale. Ma il vero grande problema del nostro Paese è l’inverno demografico. Se la natalità non riprenderà, la platea delle persone da formare si ridurrà ulteriormente. È una tendenza che mi preoccupa molto, soprattutto per gli atenei del sud, che già soffrono molto sotto questo aspetto».
L’offerta formativa di Sapienza Università di Roma prevede 300 corsi di laurea e laurea magistrale e quasi 200 master.
«I master rientrano nel grande capitolo dell’aggiornamento continuo, necessario per tutte le professioni, obbligatorio per quelle collegate all’iscrizione a un ordine professionale. La Sapienza, che ha relazioni fisiologiche con la pubblica amministrazione, si mette a disposizione di continuo, con master in collaborazione con enti pubblici e imprese private. Il master serve a dare ai discenti strumenti per risolvere problemi sul campo, in questa logica rientrano i Career days».
Di cosa si tratta?
«Due giornate per ogni area disciplinare, per potenziare il proprio servizio di “placement” mettendo in connessione diretta studenti e realtà produttive: istituzioni e aziende. Abbiamo iniziato con l’area umanistica, il prossimo sarà in area giuridica. Abbiamo finora stipulato circa 1.100 convenzioni».
Quali sono le professioni del futuro?
«Tutta l’area professionale che riguarda il mondo digitale, così come tutte quelle lauree, opportunamente contaminate, che vanno nella direzione della sostenibilità. Un tema multidisciplinare, o meglio transdisciplinare, perché combina saperi giuridici, ingegneristici e delle scienze di base. Vedo in buona posizione anche la tecnologia legata alla conservazione dei beni culturali, in cui La Sapienza è particolarmente forte e strutturata. E ancora, le professioni di cura: la nostra università forma il dieci per cento dei professionisti della salute del Paese».
Sapienza Università di Roma vanta il primato mondiale per gli studi classici, nella classifica QS World University Ranking.
«È una tradizione che ha radici profonde, soprattutto per l’area archeologica. Attualmente La Sapienza sta restaurando il pavimento del Santo Sepolcro, una missione coordinata da una nostra brillantissima docente, la professoressa Francesca Romana Stasolla. Stanno lavorando a Gerusalemme, dove spero di andare a maggio, per vedere lo scavo e soprattutto ringraziare tutti i nostri giovani ricercatori. È un primato mondiale che auspichiamo di mantenere».
E poi c’è l’eccellenza degli studi di Fisica.
«È stata certificata con il Nobel a Giorgio Parisi, ma il nostro primato viene da lontano. Abbiamo docenti eccellenti in tutte le discipline, ma queste due aree meritano una menzione speciale».