Avete presente Omar Sy, l'irresistibile badante co-protagonista di “Quasi amici”? Ricordate il suo Arsenio Lupin, con il sorriso contagioso, il fascino malandrino e il viso mobile ed espressivo? Ecco, nel suo nuovo film, di tutta la vecchia carriera rimane solo l’espressività del volto. Perché in “Io sono tuo padre” di Mathieu Vadepied, presentato a Cannes l’anno scorso e in uscita nei cinema italiani per Altre Storie e Minerva Pictures il 24 agosto, l’attore di origine senegalese interpreta un film drammatico e mette la sua fama consolidata di comico al servizio di una missione storica: la riscrittura del ruolo dei militari africani nella ricostruzione delle guerre mondiali.
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Nei libri di storia, alle truppe coloniali sono dedicate una o due righe, ma dietro ai soldati portati a combattere in Europa c’erano drammi, vite spezzate, famiglie gettate in povertà. Nella Prima guerra mondiale duecentomila africani furono obbligati a combattere per la Francia: trentamila morirono, migliaia tornarono a casa mutilati o feriti. E la storia dei militari francesi strappati alle colonie è continuata per circa cent’anni: il corpo dei "senegalesi" (che accoglieva in realtà tutti i soldati provenienti dall’Africa), nato a metà Ottocento, è stato sciolto solo nel 1960.
“Io sono tuo padre”, secondo la descrizione del protagonista, «è un film di guerra intimista: il modo migliore per far capire cos'è davvero un conflitto». Siamo nel 1917, la Prima Guerra Mondiale dura da tre anni e i francesi ricorrono a ogni forma di violenza per arruolare militari nelle colonie. Quando il diciassettenne Thierno Diallo (Alassane Diong) viene preso, suo padre Bakary (Sy) lo va a cercare e finisce per arruolarsi con lui. Ma mentre il padre sogna per il figlio un posto tranquillo, in cucina o nelle retrovie, il giovane si fa affascinare dai sogni di gloria e di un’eguaglianza con i bianchi conquistata con le armi. È una storia simbolica che ricorda il romanzo di David Diop “Fratelli d’anima” (Neri Pozza), premiato al Goncourt e allo Strega e vincitore del Booker Prize International nel 2022: è la storia di un soldato che durante la Prima guerra mondiale decide di vendicare un amico morto uccidendo più tedeschi possibile, fino a rimanere abbrutito dalla violenza.
L’idea di “Io sono tuo padre”, ha raccontato Vadepied, ha più di vent’anni: «Nel 1998 morì l’ultimo reduce senegalese: Abdoulaye Ndiaye, di 104 anni, arruolato nel 1914. Per ironia della sorte, morì il giorno prima di ricevere la Legion d'Onore dal Presidente Jacques Chirac. In quel momento, e non so perché, mi sono chiesto: e se la tomba del Milite Ignoto contenesse i resti di un soldato reclutato in uno dei Paesi africani allora colonizzati dalla Francia? E così è iniziato tutto. Nel 2015 ho conosciuto Sy sul set di “Quasi amici”, dove ero direttore della fotografia, e gliene ho parlato».
La sceneggiatura ha richiesto cinque anni e varie riscritture, e questo, come ha spiegato Sy, ha obbligato i due amici a un cambiamento fondamentale: «Un tempo avrei dovuto interpretare il figlio, ma poi sono diventato troppo vecchio per il ruolo: ho pensato che sarebbe stato meglio affidarlo a un attore più giovane. Ma quando mi hanno proposto di recitare nella parte del padre, ho accettato di interpretarlo a condizione di parlare fulani, una lingua che conosco. Penso che questo aggiunga qualcosa al film: trasmette il senso di esilio provato dagli uomini costretti a lasciare le loro case e sottolinea l'assurdità di combattere per un Paese di cui non si conosce la lingua! Tutto ciò è molto significativo in termini di sacrificio». E sottolinea la distanza del padre dal figlio, che si sente più vicino ai francesi anche perché parla la loro lingua.
Sy è anche produttore del film: «Ho voluto partecipare alla produzione per far vedere che è un progetto a cui tenevo molto», racconta. «Volevo contribuire a farlo conoscere il più possibile, e ho pensato che recitare e basta non fosse sufficiente. Recitare e coprodurre sono due tipi diversi di sostegno». E ancora: «Non so perché la storia dei soldati senegalesi, o di altri paesi, sia stata raccontata così raramente: ma penso che sia una perdita di tempo chiederselo. Ciò che è fondamentale oggi è raccontarla, e basta. Ecco perché abbiamo fatto questo film. Il nostro desiderio segreto è quello di creare un vero incontro tra il pubblico e questi soldati. Non vogliamo solo che le persone scoprano questa storia, ma anche che la ricordino. E non c'è niente di meglio di un incontro per far ricordare le cose».
Per questo la parte del film ambientata in Africa è così importante: «È la parte della storia che conosciamo di meno, semplicemente perché nessuno ne parla mai. Quando si parla delle truppe senegalesi, le si immagina come soldati in Francia, che combattono per la Francia - questo non è mai stato nascosto - ma si dimentica che prima questi uomini vivevano in villaggi. È come se parlassimo di Africa post-coloniale immaginando che prima non ci fosse stata l'Africa. E invece è proprio quel "prima" che mi interessa».
Uno dei problemi del film era evitare una contrapposizione di maniera tra bianchi cattivi e africani buoni. Anche se è ben evidente il metodo disumano con cui avvenivano gli arruolamenti in Africa, è sottolineata l’atmosfera di inimicizia e di violenza che poteva crearsi anche tra i soldati neri: il primo problema di Thierno, prima ancora di andare al fronte, è sopravvivere ai suoi commilitoni. «Per quanto riguarda il personaggio interpretato da Omar», aggiunge Vadepied, «anche lui oscilla tra eroe e antieroe. Non è stato facile renderlo anonimo, considerando che ormai è un’icona! Il fatto che non parlasse francese ma fulani ha facilitato il compito, e la nostra geniale truccatrice, Julia Carbonel, ha trovato alcune soluzioni per modificare il volto e l'aspetto così noto di Omar Sy».
In vent’anni di lavoro, l’idea del film è cambiata molto ma una cosa era chiara fin dall’inizio, continua il regista: «Con Olivier Demangel, coautore del film, ci siamo sempre detti che volevamo rivolgerci a tutti, non solo alle persone interessate ai temi dell’integrazione e identità. Volevamo rivolgerci anche a coloro che hanno paura e sono intrappolati nella rete dell'estremismo politico, che non conoscono necessariamente la realtà della storia dei soldati senegalesi. Volevamo toccare questioni universali attraverso una storia intima. E l'universalità della nostra storia sta nel rapporto tra padre e figlio. Sy a seguito ogni stesura, e ci ha molto aiutati come produttore».
Lo scopo era chiaro: «Rendere omaggio ai soldati senegalesi e, più in generale, a tutti gli uomini delle ex colonie francesi che hanno combattuto senza che il loro sacrificio fosse mai riconosciuto». Ma il messaggio non è solo per il passato: in un momento in cui la Francia vede scoppiare sempre più spesso proteste anche violente dei giovani di origine coloniale contro il razzismo della società francese, Sy è convinto che “Io sono tuo padre” possa «rendere orgogliosi i giovani che si sentono esclusi dalla Storia con la S maiuscola. Parliamo tanto di integrazione, di assimilazione, ma tutti i giovani francesi hanno bisogno di storie che raccontino un passato comune, perché sono le storie che ci aiutano a scrivere un futuro comune, e un presente comune».