Pupazzi, cantanti donne, sagome. Per raccontare esilio e migrazioni. Il regista sudafricano mette in scena a Spoleto lo spettacolo “The great yes, the great no”. E firma il manifesto della rassegna

Kentridge a sei teste

Viaggia da un capo all’altro del mondo con i suoi spettacoli dallo stile unico, in cui mescola il disegno con l’animazione, il cinema con il teatro. D’altra parte William Kentridge ha sempre oscillato tra arte visiva e performance, con opere esposte nei più prestigiosi musei e spettacoli teatrali allestiti nei principali Festival internazionali, spesso su tematiche antirazziali.

 

A Spoleto l’artista e regista sudafricano firma il manifesto della nuova edizione del Festival dei Due mondi, “Six heads”, su cui campeggiano sei teste di vario genere. «Sono i lineamenti delle maschere di cartone del nostro spettacolo, simboli del surrealismo, con volti anche di personaggi storici», racconta il regista, che a Spoleto presenterà anche “The great yes, the great no”, uno spettacolo fra teatro, oratorio e opera da camera (12 e 13 luglio). Quei frammenti di volti bianchi e neri, di uccelli rapaci e caffettiere, dunque, sono elementi che tornano nello spettacolo, specchio di un mondo fatto di culture e identità diverse, come testimoniano anche molti altri artisti presenti in questa sessantottesima edizione del Festival dei Due Mondi diretta da Monique Veaute, in programma dal 27 giugno al 13 luglio.

 

“The great yes, the great no” è un’allegoria dell’esilio, un viaggio che parte dal 1941, quando la nave mercantile Capitaine Paul Lemerle salpò da Marsiglia alla volta della Martinica. Tra i passeggeri in fuga dalla Francia di Vichy c’erano il surrealista André Breton, l'antropologo Claude Lévi-Strauss, l’artista cubano Wifredo Lam, il romanziere comunista Victor Serge e la scrittrice tedesca Anna Seghers.

 

«Il viaggio di questa nave è il punto di partenza di “The great yes, the great no”. E il capitano del battello è Caronte, il traghettatore delle anime che solca le acque chiamando a sé altri personaggi», spiega Kentridge: «Dalla Martinica rispondono all’appello Aimé Césaire, che aveva compiuto lo stesso tragitto due anni prima assieme alla moglie Suzanne, e Jane e Paulette Nardal, che, assieme ai coniugi Césaire e a Léopold Sédar Senghor, furono tra i fondatori del movimento anticolonialista della Négritude nella Parigi degli anni Venti e Trenta». Ma in questa nave viaggiano anche Frantz Fanon, anch’egli originario della Martinica come Joséphine Bonaparte; Trotsky, assassinato in Messico sei mesi prima della partenza; e perfino Stalin fa una rapida apparizione.

 

Un punto di riferimento importante per questo lavoro è il poema di Aimé Césaire, “Cahier d’un retour au pays natal” (Diario del ritorno al paese natale, 1939). Ma non solo. «I pensieri di Caronte si nutrono di molteplici fonti, dal Surrealismo di Breton all’Afro-Cubismo di Wifredo Lam, dalla poesia di Léon-Gontran Damas agli scritti di Senghor, Suzanne Césaire e Paulette Nardal, fino alle poesie degli anni Trenta di Bertolt Brecht», aggiunge Kentridge.

 

Pupazzi, sagome di cartone, cantanti donne si mescolano per ricordarci quanti clandestini ancora oggi attraversano i nostri mari in cerca di un mondo migliore. «Il viaggio raccontato è quello dell’attraversamento dell’Atlantico nel 1941, ma riecheggiano anche le traversate forzate dall’Africa ai Caraibi e naturalmente i viaggi in mare dei migranti di oggi», aggiunge il regista. Un ruolo importante è affidato al coro composto da sette donne, che «in un panorama popolato da figure storiche richiamate dall’aldilà rappresenta tutti quei migranti che sopravvivono alla traversata del mare e che ci impongono di ricordare gli uomini e le donne che non ce l’hanno fatta». Un coro guidato da Nhlanhla Mahlangu, che arriva dopo il viaggio, dopo la tempesta, per raccogliere i pezzi e provare a ricostruire, anche attraverso la danza e il movimento.

 

Ma la presenza di Kentridge si farà sentire durante tutta la durata del Festival. La Fondazione Carla Fendi e i Mahler & LeWitt Studios, infatti, ospiteranno il Centre for the Less Good Idea con la mostra “Unhappen Unhappen Unhappen – Pepper’s Ghost Dioramas”, che presenterà in anteprima quattro diorami animati realizzati da Anathi Conjwa, William Kentridge, Micca Manganye e Sabine Theunissen con la tecnica Pepper’s Ghost (illusioni ottiche).

 

Fondato da Kentridge e Bronwyn Lace a Johannesburg, il Centre for the Less Good Idea promuove progetti interdisciplinari, supportando soprattutto giovani artisti africani, incoraggiati a perseguire “l’idea meno buona”, cioè quell'idea inizialmente marginale. A William Kentridge andrà anche il Premio Carla Fendi Steam 2025.

 

All'insegna del dialogo tra culture, ma anche tra le diverse arti, sarà anche gran parte del programma del Festival dei Due mondi, che prevede oltre 60 spettacoli e 500 artisti provenienti da vari Paesi. Scelgono l'arte come strumento per interpretare il mondo anche Ersan Mondtag, Robert Mapplethorpe, Clément Cogitore, che sperimentano nuove interazioni tra discipline diverse. Tanti altri gli eventi da segnalare: dalla messa in scena di “Novecento” di Alessandro Baricco, con Enrico Rava e Stefano Bollani all'arrivo del pianista giapponese Hayato Sumino; dal nuovo spettacolo della Sydney Dance Company, guidata da Rafael Bonachela, con le musiche originali di Bryce Dessner, al ritorno di Luca Marinelli in veste di attore e regista con “Cosmicomiche” di Italo Calvino (per consultare il programma completo: www.festivaldispoleto.com).

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