Cultura
5 dicembre, 2025Rebecca Lighieri, pseudonimo della scrittrice francese Emmanuelle Bayamack-Tam, ha scritto un libro lacerante sulla complicata relazione con i nostri figli. Un faccia a faccia tra linguaggi e valori sempre più distanti
Da una decina d’anni la scrittrice Emmanuelle Bayamack-Tam alterna libri firmati col suo nome a romanzi attribuiti allo pseudonimo Rebecca Lighieri. Una scelta, sostiene Le Monde, che scandisce due approcci diversi alla scrittura e due atmosfere opposte: più solari quando i libri riportano il nome originale, più cupe nel caso del nom de plume. Delega all’alias italiana, con l’elegante traduzione di Valentina Maini, il nuovo romanzo “Il club dei bambini perduti”, pubblicato in Italia da 66thand2nd: potente più che fosco, perturbante più che oscuro. E lacerante. Un libro diviso a metà: la prima parte narrata da Armand, uomo di teatro originale e appassionato, al centro di un mondo creativo ma concreto, viveur che piace alle donne. E padre di Miranda, che prende la parola nella seconda parte. Per narrare verità opposte, inaccessibili al genitore.
Spiata, guardata con ansia e con preoccupazione, giudicata fragile e in pericolo, incompresa nel suo essere riservata e lontana, quella figlia che non sa spiccare il volo – che vive qualche amore inadeguato, con pochissimi amici e sempre in cerca di isolamento – è per il padre un oggetto misterioso e inclassificabile. E se in lui c’è sforzo di comprensione, esplicitamente teso è il rapporto con la madre, donna affascinante e di successo. A chiarire l’abisso che li separa, a dare un nome al senso di scomodità che accompagna nella lettura, è Miranda stessa, emblema della difficoltà di capirsi e di un conflitto acquattato dietro l’angolo e pronto a esplodere che non è solo generazionale. Ma che davanti a quei genitori belli, sicuri e inesorabilmente aggrappati a un Titanic, racconta esattamente il malessere giovanile di oggi: le preoccupazioni per il futuro, gli scenari globali inquietanti, le ambizioni smussate dalle scarse possibilità. La capacità di vedere, e di soffrire, per cose che i grandi non scorgono più. E lo sconforto di un disincanto, adulto ed egoista, che lascia i nostri ragazzi sul filo dell’equilibrio: contratti e soli, paralizzati dall’empatia e dal dolore altrui; prosciugati da troppe informazioni, troppe attese, troppi social: come “uccelli terrorizzati dalle troppe luci”.
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