Abiti sartoriali, accessori, gioielli e maison di culto. Da Parigi a Milano, da Roma a Torino i musei aprono alla couture. Mettendo in dialogo spazi e opere d’arte con altri capolavori

Metti un abito in tulle ricoperto di paillette disegnato da Sabato De Sarno per Gucci nelle sale scarne di un’istituzione museale dedicata all’architettura. Oppure una rigorosa giacca maschile firmata Giorgio Armani fra gli stucchi e gli affreschi di un palazzo gentilizio. E ancora, un’intera collezione di scarpe dalle mille fogge e colori sul pavimento in linoleum di uno spazio destinato all’arte contemporanea. In tre parole: moda da museo. 

 

L’ultimo, famosissimo, ad aprire le porte alla couture e per la prima volta nella sua storia, è il Louvre di Parigi: da pochi giorni ha inaugurato la mostra dal titolo “Louvre Couture. Objets d’art, objets de mode”, in programma fino al 21 luglio prossimo. Una passerella di oltre sessanta look, una quarantina di accessori e ben quarantacinque maison spalmati su novemila metriquadri. Gran parte dei designer di abiti trae ispirazione da quadri e sculture, scegliendo spesso le sedi museali per allestire le proprie sfilate. Non c’è quindi da stupirsi se il curatore Oliver Gabet, direttore del Dipartimento delle arti decorative del Louvre, ha pensato di far convivere arredi e pezzi unici dell’antico palazzo appartenuto ai re di Francia con le creazioni di John Galliano per Dior o gli intarsi di un maestro come André-Charles Boulle con i preziosi ricami del tailleur pantalone in damasco di seta disegnato da Givenchy. Un dialogo vivace, che segue un paradigma tessile. Lungi dal mettere in fila un manichino via l’altro. Anche se, in questo caso, il rimando a quelli metafisici dipinti da Giorgio De Chirico viene spontaneo. Sempre a Parigi una maison di culto come Yves Saint Laurent propone fino al 4 maggio la mostra “Les Fleurs d’Yves Saint Laurent” all’omonimo museo: narrazione poetica del legame tra natura, letteratura e moda incarnata nei vestiti anni Sessanta o nelle composizioni floreali in garza di seta portate al successo dalla Marianna di Francia, Laetitia Casta. 

 

Ma i look di sfilata sono sempre immortalati dall’obiettivo di grandi fotografi, che hanno contribuito a diffondere il linguaggio del fashion system ai non addetti ai lavori. È il caso di “Dior/Lindbergh alla Galerie Dior di Parigi (fino al 4 maggio) che riunisce un centinaio di scatti realizzati da Peter Lindbergh fra il 1988 e il 2018. Un inno alla bellezza femminile. Così come lo sarà, valicando i confini, la mostra attesa per il 21 marzo a Torino, “Norman Parkinson. Always in Fashion” (Palazzo Falletti di Barolo, fino al 29 giugno): ottanta opere che fanno il punto sulle evoluzioni stilistiche del secolo scorso. Dal New Look anni Cinquanta al glamour anni Ottanta passando per la Swinging London dei Sessanta.

 

«La modernità del lavoro di Norman Parkinson sta innanzitutto nella scelta delle location per i suoi servizi fotografici: era determinato a catturare i suoi modelli in ambienti del mondo reale che sembrassero familiari al pubblico», racconta Terence Pepper, per oltre quarant’anni curatore della National Portrait Gallery di Londra nonché di questa esibizione. «In mostra c’è uno scatto memorabile in cui le modelle Jill Kennington e Melanie Hampshire posano in una strada londinese con i poliziotti per uno dei primi numeri della rivista Life nel 1963. Gli abiti sembrano fondersi perfettamente con le uniformi della polizia a dimostrare come la moda già all’epoca potesse integrarsi nella vita quotidiana, portando un tocco inaspettato in un ambiente pubblico».

 

Fra le immagini che si susseguono, spicca la famosa inquadratura scattata per Vogue nel 1949 in cui le modelle sfoggiano eleganti cappelli con la colonna di Nelson sullo sfondo. «Queste donne non erano solo figure passive che indossavano abiti ma davano vita ad essi, rendendoli dinamici e rilevanti per lo spettatore», conclude Pepper.

 

Poco distante, nell’ex struttura militare del Forte di Bard ora polo culturale in Valle d’Aosta, va in scena fino al 9 marzo la retrospettiva “Gianfranco Ferré dentro l’obiettivo”, a cura del Centro di ricerca Gianfranco Ferré, Politecnico di Milano e CZ Fotografia. Un omaggio attraverso abiti, immagini d’autore e disegni all’architetto della moda, scomparso nel 2007, che avrebbe compiuto ottant’anni. A celebrarlo gli scatti di otto maestri che con lui collaborarono: da Gian Paolo Barbieri a Michel Comte, da Steven Meisel a Bettina Rheims.

 

Milano, città della moda per eccellenza, ospita invece fino al 13 giugno una mostra per veri appassionati del genere, “Galtrucco. Tessuti Moda Architettura”, a cura di Alessandra Coppa, Margherita Rosina e Enrica Morini. La sede scelta è quella di Palazzo Morando, nel cuore del quadrilatero: di proprietà della contessa Lydia Caprara Morando Attendolo Bolognini, fu donato al Comune nel 1945. Nata a Novara, l’azienda di distribuzione tessile aprì insegne in molte città, chiamando a disegnare i negozi architetti del calibro di Guglielmo Ulrich, Piero Pinto, Melchiorre Bega. A decorare scaffali e pareti, le ceramiche di Fausto Melotti e i celeberrimi disegni di Brunetta.

 

Tutt’altra ambientazione ma contenuti simili per la mostra “Memorabile. Ipermoda”, che si può visitare alla Fondazione MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma fino al 23 marzo. Concepita come una serie di “stazioni” in una galleria affacciata sulla Città Eterna, mescola senza gerarchie abiti sartoriali e capi tecnici, borse e progetti di co-branding. «L’esposizione vuole esplorare la capacità della moda di essere straordinaria e al tempo stesso radicata nel quotidiano, presentandola quindi non solo attraverso valori estetici ma come un mezzo espressivo che riflette e rinegozia continuamente i valori sociali e culturali», spiega Francesco Stocchi, direttore artistico del MAXXI.

 

La comune fascinazione per l’ornamento e l’accessorio, interpretati come un’estensione del corpo, è il filo conduttore della mostra “Lonely Are All Bridges. Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri”, curata da Maurizio Cattelan e Marta Papini alla Fondazione ICA Milano (fino al 15 marzo, ingresso gratuito). «Entrambe le artiste, che non si sono mai conosciute, hanno lavorato sul tema delle scarpe, dei guanti, delle calze. La Ruggeri fa sicuramente una ricerca più pop, di superficie, con le calzature da sfilata che recano i nomi delle modelle mentre la Jürgenssen usa la moda come protesi, per attuare una metamorfosi», sottolinea Marta Papini. «Entrambe hanno la capacità di muoversi tra le varie discipline, arte, design, fotografia, moda per raccontare la loro visione del mondo, soprattutto femminile». E sempre Milano si prepara a ospitare la prima esposizione italiana dedicata al sarto Cristόbal Balenciaga in occasione dei 130 anni dalla sua nascita. “Balenciaga Shoes from Spain (Palazzo Morando, dal 21 febbraio al 2 marzo), allestita da Elisa Ossino Studio, accosta il bolero da torera in velluto ai modelli di scarpe, da giorno e da sera. «Un couturier deve essere un architetto per la forma, un pittore per il colore, un musicista per l’armonia e un filosofo per la misura», ripeteva Balenciaga che aprì il suo atelier parigino nel 1937 in avenue George V. Molti lustri dopo, l’attuale direttore creativo di Balenciaga, Demna Gvasalia, avrebbe disegnato una clutch a forma di stiletto. La borsa che sembra una scarpa. Dove non c’è spazio per l’iPhone. E che è diventata subito un oggetto del desiderio.

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