Artist Kom Binne, benvenuto, artista. Quando nel 1881 Leendert Spandeer acquistò un caffè vicino al porto di Volendam, Olanda del nord, costruì un piano aggiuntivo e atelier sul retro, aprì il suo hotel destinato ad artisti - che ospitava, ascoltava, accudiva, ricevendo in cambio opere - non poteva immaginare che quella colonia di pittori e visionari, presto colma di una stupefacente collezione, avrebbe un giorno rappresentato il sogno realizzato di un’Europa unita. La stessa, oggi, in pericolo.
«Che cos’è l’identità europea? È averne tante insieme a formare un’unica cultura. Questa è l’essenza dell’Europa: l’interazione tra diverse culture in un contatto e in uno scambio continuo di idee, saperi, vite di uomini e donne», spiega a L’Espresso Jan Brokken, tra i più apprezzati e noti scrittori olandesi, pubblicato da anni in Italia da Iperborea (“Il giardino dei cosacchi”, il bestseller “Anime baltiche”, “Nella casa del pianista”, “Bagliori a San Pietroburgo”, “I Giusti”, “La suite di Giava”). «L’Europa non è una “monocultura” come la Russia o come gli Stati Uniti», prosegue: «Nell’identità europea convivono tutte le differenze: italiani e tedeschi sono completamente diversi, come gli scandinavi dagli spagnoli o gli austriaci dagli inglesi -considero sempre la Gran Bretagna parte dell’Europa. Ma insieme danno vita a un risultato estremamente interessante».
Un mix di sguardi e di sensibilità riprodotto, agli inizi del Novecento, da quasi duemila artisti che frequentarono o si stabilirono a Volendam: pittori, incisori, scultori, illustratori, fotografi, molti destinati alla fama mondiale come Paul Signac, Max Liebermann, Camille Pissarro, Pierre-Auguste Renoir, Vasilij Kandinskij. Tra loro anche decine di donne, “la maggior parte delle quali erano a Volendam da sole, e non come mogli di qualcuno”. Pittrici e pittori di marine, soprattutto, in grado di acciuffare “il turbinare dell’acqua e lo sbattere delle vele” e trasferirlo sulla tela; cacciatori di luce, “quella luce così famosa perché riflessa dall’acqua, che si comporta come un enorme specchio”; mare di luce che “illumina tutto ma non chiarisce nulla”, secondo lo splendido verso del poeta Hans Tentije, il primo a condurre Brokken, negli anni Ottanta, all’Hotel Spaander.
Cosa li attirava in quel paesaggio di “acqua ovunque, vento nelle orecchie, gabbiani che volteggiano in un cielo argentato” e i fari più belli del mondo? Lo stile di vita sano, lo spirito di comunità, l’accoglienza senza giudizio e “la ricerca della bellezza nel quotidiano”, scrive Jan Brokken nel suo nuovo libro in uscita a metà aprile e che L’Espresso ha letto in anteprima: “La scoperta dell’Olanda” (Iperborea), un viaggio, con una ricca galleria di immagini, in un’Europa degli artisti, precedente all’Europa politica ed economica. «Negli ultimi due anni sono stato molto in giro nel cuore dell’Europa, a Budapest, a Praga, in capitali in cui puoi vedere concretamente gli effetti di quelle influenze, a volte tedesche, a volte francesi, a volte italiane, che rendono la cultura europea così incredibile», racconta lo scrittore: «Ora ogni Paese è diventato patriota e nazionalista, chiuso nella sua identità nazionale, è veramente terribile. È come uno specchio rotto. Questo è il pericolo del nostro tempo: il nazionalismo. Ma la cultura è intreccio tra gli uni e gli altri, connessione tra popoli: non esiste cultura del tutto autonoma».
“La scoperta dell’Olanda” è anche il nome dell’iniziativa della Fondazione olandese per la Letteratura e dell’Ambasciata e Consolato Generale del Regno dei Paesi Bassi in Italia, per favorire la conoscenza della vitalità e varietà del panorama editoriale olandese. Un dialogo con scrittori, editori, traduttori, fiere. Con una rete di partner come Festivaletteratura a Mantova e Dedica Festival a Pordenone, che vedrà protagonista lo scrittore iraniano naturalizzato olandese Kader Abdolah (15-22 marzo). E con apice il Salone del libro di Torino (15-19 maggio), dove i Paesi Bassi saranno ospiti d’onore.
«Penso che la letteratura sia fondamentale per il futuro dell’Europa: ma del dibattito sulla cultura i politici non si stanno occupando», prosegue Brokken: «Abbiamo un bisogno vitale di scambio di pensiero. Possiamo fare molte cose unendo le energie: i nostri libri, le produzioni che mettono in rete Paesi diversi, la musica, l’attenzione alla bellezza possono rappresentare un ponte importante. Invece, ripetiamo che la cultura occidentale è in pericolo, che i nostri valori sono a rischio, ma tutti questi politici nazionalisti non spendono un solo soldo in cultura. Se pensi che la società occidentale corra un serio pericolo, perché non investi in formazione, educazione, lettura? Invece, tagli e risparmi. I nazionalisti olandesi hanno proposto di alzare la tassazione dei libri dal 9 al 21 per cento. Tutti, compatti, abbiamo detto no; la decisione è rimandata, ma è un’idea assurda e ridicola se hai ripetuto a chi ti vota che l’Occidente è in pericolo».
Combattivo, vivace, fatto di lettori forti: visto da Amsterdam, il mondo dell’editoria è un prisma luminoso. Uno scenario da 3.858 editori; un mercato che vale 690 milioni di euro; che poggia su 43 milioni di copie vendute. Un’industria decisamente più piccola di quella italiana (dove il valore complessivo dell’editoria nel 2024 si è attestato a 1.533,8 milioni di euro e 103,987 milioni di copie vendute nel mercato trade, fonte Aie, gennaio 2025). Ma con orgogliosi picchi: ben l’87 per cento della popolazione sopra i 13 anni legge un libro all’anno. «E il 57 per cento dei lettori ha una scolarizzazione medio-bassa», puntualizza Martijn David, direttore della Dutch Publishers Association: «Non è vero che legge solo chi ha una formazione superiore. Gli olandesi amano farlo, e dopo il coronavirus hanno continuato a dedicare ancora più tempo alla lettura». Le vendite riguardano per lo più le librerie fisiche (56 per cento) che quelle on line, grazie a una pulviscolare realtà di librerie indipendenti che coltivano coi lettori un rapporto diretto, continuo. «Ne siamo fieri. Facciamo parte delle abitudini degli abitanti di questa città», dice Reny van der Kamp della libreria Athenaeum a piazza Spui, nel cuore medievale di Amsterdam, tagliata dalle rotaie del tram: «Gli italiani più amati? In testa Elena Ferrante. E tra i più venduti Antonio Scurati, Silvia Avallone, Paolo Giordano ma anche Alba De Cespedes, Natalia Ginzburg, Paolo Giordano, Carlo Levi». Il gusto degli olandesi è in questo momento rivolto a Sally Rooney, Miranda July, Lex Paleaux, ad autrici femministe come bell hooks e Judith Butler. Ogni anno la Dutch Foundation for Literature supporta la traduzione di titoli: «Il Letterenfonds ha fatto grandi investimenti sui suoi autori, finanziando fino al 70 per cento dei costi di traduzione, e questo per gli editori è decisamente allettante», sottolinea la traduttrice Claudia Di Palermo, che da oltre vent’anni fa conoscere i più importanti autori di lingua nederlandese: «Perché questa letteratura, pur così ricca, variegata e dallo sguardo aperto ha faticato a crearsi un’identità? Per la sua lingua, per la difficoltà di autopromuoversi. Tutto è cambiato nel 2016, quando il Paese è stato ospite della Fiera di Francoforte. Da allora la letteratura è uscita dai suoi confini, con Paesi come la Germania che comprano più titoli di tutti».
Non è solo la notorietà degli autori a dimostrarlo, dallo scrittore-viaggiatore Cees Nooteboom a Herman Koch (“La cena” è stato un successo internazionale) fino alle tante autrici di libri per bambini, vincitrici di importanti premi anche in Italia: Annet Schaap, Anna Woltz, Enne Koens. «C’è anche una riscoperta dei grandi del passato, come Gerard Reve e Hella S. Haasse, Harry Mulisch, Willem Frederik Hermans, Etty Hillesum. E molti altri sono ormai apprezzati all’estero», spiega la critica letteraria Margot Dijkgraaf: «Arnon Grunberg, il saggista Geert Mark, Mathij Deen. Scrittori che fanno i conti col passato coloniale, col sogno infranto dell’Europa, con la questione climatica. Giovani autrici che si confrontano con questioni femminili come Lisa Weeda, Hanna Bervoets, Niña Weijers, Bregje Hofstede».

Babs Gons, regina della poesia performativa che nel 2023 ha ottenuto il titolo di poeta nazionale, tradotta da Edizioni Ensemble (“Fallo comunque”), ci conduce al Rijksmuseum, davanti al dipinto di Dirk Valkenburg “Plantage in Suriname” per recitare i suoi toccanti versi che parlano dell’essere donna. Pluripremiata, emblema di una poesia che esce dai luoghi più elitari e inonda strade e festival, è anche Ellen Deckwitz: una sua raccolta poetica è pubblicata in italiano, “Fisica avanzata” (Valigie Rosse), e ha ricevuto il premio Ciampi a Livorno. Ci mostra Poembooth, progetto che conquisterà anche il Salone di Torino: una macchina, coprodotta dal Fondo olandese di letteratura e dallo studio di design Vouw, esempio di slowtech: rallentare, riunire persone, vedere le loro immagini tradotte in poesia.
Dinamici, sperimentatori sono i nomi emergenti, capaci di unire temi della contemporaneità all’universalità della letteratura «dove tutto può succedere», interviene Auke Hulst: la sua storia, “Ragazzi selvaggi”, venti ristampe in Olanda e in arrivo a maggio per Carbonio, racconta di quattro fratelli, nella campagna di Groningen negli anni Ottanta, e della loro capacità di resistere, orfani di padre e con una madre incapace di prendersene cura.
Guarda al mondo del lavoro più disumanizzante il talentuoso Tom Hofland, anche apprezzato podcaster, con “Il cannibale” (Carbonio). «Mi sono ispirato a vere riorganizzazioni aziendali, come quella di France Telecom negli anni Duemila», dice.

Dido Michielsen è “Figlia di due mondi” (in Italia è pubblicata da Nord): è nata ad Amersfoort, ma la sua scrittura affonda in una storia familiare e di mitologie indonesiane che fanno giustizia di razzismi e dolorose eredità. Con “L’isola della memoria” «ho dato voce alla sofferenza di tutte quelle nyai votate al silenzio, concubine degli olandesi nei loro 150 anni di dominazione», dice.

Bestseller per più di un anno è stato “Il cammino” di Anya Niewierra (Neri Pozza Editore): «Thriller e novel sul camminare, staccarsi da tutto e sentire che qualcuno ti dà la caccia». Se nell’idea iniziale di un protagonista sfuggito alla guerra della ex Jugoslavia vorticava l’orrore dell’ex generale serbo Ratko Mladic, «è stato mio marito, che mentre ero sul Camino di Santiago pretendeva una rassicurante telefonata ogni cinque ore a darmi il senso di inseguimento», scherza l’autrice.
A Belgrado, e in altri luoghi caldi del Pianeta, è stato da giornalista il più eclettico di tutti: Frank Westerman. I suoi libri sono reportage narrativi, viaggi nella paleontologia, nell’antropologia, grandiose avventure umane: «Né fiction né novel né giornalismo, solo prosa», chiarisce lui. Sarà l’undicesimo titolo in italiano “Bestiario artico” (Iperborea), che in olandese (“Zeven dieren bijten Terug”) suona come “sette animali rispondono a morsi dopo essere stati attaccati: «Esploro l’estremo Nord sulla scia dei grandi esploratori attraverso sette animali, dal lemmig all’oca colombaccio, dalla renna al granchio reale. Un trionfo di aneddoti, erudizioni, fantasie, cronaca (chi si ricorda che nel 2019, nell’attentato di Londra al London Bridge, l’attentatore fu fermato da un passante con una zanna di narvalo, proprio il cetaceo dei mari artici?). Ma per leggerlo bisognerà aspettare fino a settembre.
«Nel confine tra fiction e non fiction la letteratura olandese esprime il meglio di sé», dice Jan Brokken. Le manca un luogo come l’hotel Spaander? «Ho molta nostalgia di posti capaci di favorire gli scambi culturali: penso ai caffè letterari di Vienna, Praga, Budapest, Trieste: un tempo la cultura era così vivace e ravvivata da questo confronto. Certo ci sono i festival, le iniziative europee. Mi manca quello spirito di curiosità e libertà: Volendam è stato un luogo di tolleranza assoluta, ma proprio lì le ultime elezioni sono state vinte dal Pvv, il Partito per la libertà, di estrema destra. La tolleranza non è un valore eterno: difendiamola».