Cultura
24 marzo, 2025

Paolo Petrocelli: “Ho portato l'Aida a Dubai"

La Dubai Opera House
La Dubai Opera House

Grattacieli, mall, hotel di lusso. E musica. Il Teatro dell’opera della città del Golfo, guidato da un manager italiano di 40 anni, ha aperto la nuova stagione con il capolavoro di Verdi. Ponte col mondo arabo

«Khotite shampanskogo bokal?», «Desideri un calice di champagne?», chiede un uomo vestito di blu alla signora accanto a lui, elegante nel suo abito da sera color crema, nel bar della Dubai Opera. Scorrono bollicine francesi nella città degli Emirati Arabi Uniti (Eau) e si parla russo nei ristoranti, nei locali e anche nel più grande centro di arti performative del Golfo, gioiello di design progettato dall’archistar danese Janus Rostock. Un edificio elegante e armonioso a forma di “dhow”, la tradizionale barca a vela araba, immerso in una selva di grattacieli. All’interno l’auditorium conta duemila posti, nella hall scende dal soffitto una sfavillante cascata di luci in cristallo di Murano, mentre la sala ospita palchi in radica e, udite udite, duemila poltrone realizzate con gli stessi pellami e sfumature di rosso dei bolidi Ferrari e Lamborghini. In questo tardo inverno che sembra già primavera mostra il suo volto fiammante la Dubai Opera, avamposto culturale della città nata in mezzo al deserto. È anche questo il sogno di Dubai, a cui aspirano i quasi quattro milioni di abitanti - tra cui oltre 12mila italiani, in crescita costante - e 200 nazionalità, con una presenza preponderante del Subcontinente indiano. Brindano i due spettatori russi mentre la sala si riempie per il concerto di Max Richter, già da tempo sold out: il compositore anglo-tedesco fa tappa qui nel tour mondiale con la sua musica post-minimalista, utilizzata in tante colonne per cinema e tv, tra cui “The leftovers – Svaniti nel nulla” e “L’amica geniale”. Si siede al pianoforte, un favoloso Steinway & Sons a coda “Dubai Opera edition”, il coperchio decorato con un arabesco d’oro, e comincia a suonare insieme al suo ensemble di archi. Porta in scena il suo nuovo progetto, “In a landscape”, per quasi due ore tiene il pubblico col fiato sospeso.

 

Dopo l’invasione dell’Ucraina migliaia di russi si sono riversati a Dubai per viverci tutto l’anno. E anche i turisti non scherzano: 750mila arrivi da Mosca solo nel 2024, un record. Il flusso non si è ancora fermato, anzi. A differenza di Stati Uniti e Unione Europea, infatti, la monarchia assoluta del Golfo non ha imposto sanzioni a Mosca, il che ha reso più facile per i cittadini di quel Paese acquistare immobili. Il settore, in cui ha interessi diretti la famiglia dello sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum, emiro di Dubai, è la gallina dalle uova d’oro anche per gli investitori italiani. «I russi contribuiscono ad arricchire lo straordinario melting pot della città. È un Paese giovane e in pieno sviluppo», esordisce entusiasta Paolo Petrocelli, musicologo e violinista di formazione, oggi sovrintendente della Dubai Opera House, a cui è approdato dopo una fulminante carriera all’Accademia di Santa Cecilia e al Teatro dell’Opera di Roma. Barba curata, modi gentili e voce affettata, a soli 38 anni, nel 2023, Petrocelli ha esportato il soft power italiano nel Golfo Persico attraverso un delicato lavoro di diplomazia parallela. E i risultati non si sono fatti attendere: nella scorsa stagione il teatro ha toccato i 250mila spettatori, il primato dall’inaugurazione nel 2016.

 

Finanziata da Emaar, uno dei più ricchi costruttori immobiliari del pianeta con base negli Emirati Arabi, la Dubai Opera non riceve soldi pubblici, dunque è obbligata a far quadrare i conti senza voli pindarici. Tanto è vero che all’occorrenza la platea, che dispone di un sofisticato sistema per nascondere sotto il pavimento le poltrone, si può trasformare in sala per ricevimenti, matrimoni ed eventi privati. Basta pagare. «Vogliamo tenere insieme due modelli: quello tradizionale, delle grandi istituzioni culturali europee, e l'altro più americano, un centro per le arti performative in grado di generare valore economico», prosegue Petrocelli nel suo ufficio, mentre guarda attraverso una vetrata l’open space dei suoi collaboratori: «È questa la nostra sfida: trovare il giusto equilibrio tra la dimensione commerciale e quella artistico-culturale. La Dubai Opera rappresenta ormai un punto di riferimento dell'ecosistema culturale di questo Paese».

 

Finora il palinsesto ideato dal sovrintendente italiano è stato all’insegna della trasversalità. Ha alternato rock, pop, balletto, sinfonica, musica da camera e afrocubana. La Nona Sinfonia di Beethoven con i Carmina Burana, il Requiem di Mozart con Carla Bruni, Stomp con il musical Sweeney Todd, il jazz di Ibrahim Maalouf, trombettista-star libanese, e del pianista statunitense Brad Mehldau con la musica italiana: il Volo, Umberto Tozzi, la lirica. Una programmazione internazionale a trazione italiana. Lo scorso settembre, infatti, il teatro ha inaugurato la nuova stagione con l’Aida di Giuseppe Verdi e una messa in scena faraonica: l'Orchestra, il Coro e e i Solisti dell'Opera Nazionale Polacca sotto la direzione di Patrick Fournillier e la regia di Roberto Laganà Manoli, scomparso nel 2020 a 80 anni. Un ponte ideale tra Europa, Italia e mondo arabo: l’opera, infatti, fu composta per celebrare l'apertura del Canale di Suez (1869). «Da italiano e direttore di questo teatro per me è stato emozionante mettere in scena per la prima volta l’Aida a Dubai», prosegue Petrocelli, che accanto alla sua scrivania tiene appesa la locandina dell’opera di Verdi con le firme del cast dell’orchestra: «Si tratta anche di una celebrazione della cultura araba, ma in maniera diversa e inaspettata. Alla Dubai Opera riusciamo ad avere un pubblico eterogeneo: non solo europeo, ma anche locale e arabo».

 

L’euforia va bene e la musica avvicina i popoli, ma Dubai non è tutta rose e fiori. Basta leggere il nuovo volume della collana “The Passenger” (Iperborea editore; pp. 192; € 22), dedicato agli Emirati Arabi Uniti, per rendersi conto che all’ombra del Burj Khalifa, il più alto grattacielo al mondo (828 metri) visitato tutti i giorni da migliaia di persone, i problemi non mancano. Se il Dubai Mall con i suoi 1.200 negozi è il luogo più visitato del pianeta (111 milioni di persone nel 2024, più del Colosseo), è vero che la condizione dei lavoratori migranti a basso salario resta critica, come segnalano le ong umanitarie. La situazione è in via di miglioramento, ma le difficoltà iniziano ancora prima dell’assunzione, con le ingenti spese di reclutamento illegali. Per pagarle, molti sono costretti a rivolgersi agli usurai. Inoltre, può capitare che il salario venga arbitrariamente sottratto, così come che venga confiscato il passaporto. Quanto alla condizione delle donne, le cose stanno lentamente migliorando ma è ancora molto forte il divario di genere e il fenomeno della tratta illegale delle sex worker. Inoltre, il mestiere di giornalista, in particolare di inchiesta, è sempre più difficile: tra il 2023 e il 2024 gli Eau sono scesi dal 145esimo al 160esimo posto nell’indice della libertà di stampa compilato da Reporter senza frontiere e i rischi, per chi opera nel campo dell’informazione, sono più elevati.

 

Per migliorare gli standard di vita e la convivenza, la Dubai Opera è pronta a fare la propria parte. «Intendiamo utilizzare la cultura per facilitare le relazioni internazionali, anche altre istituzioni culturali degli Emirati si muovono in questa direzione», aggiunge il sovrintendente Petrocelli: «Il nostro motto è “Dubai Opera House of cultures”, nella nostra Casa delle Culture ogni settimana ospitiamo uno spettacolo diverso. Nel corso dell’anno decine di Paesi hanno l’opportunità non solo di promuoversi, ma di stabilire relazioni con leistituzioni locali e con la platea internazionale. Nei prossimi tempi verranno creati progetti di alta formazione e orchestre nazionali».

 

Davanti a sé il manager culturale ha un orizzonte ampio. Il suo mandato non ha scadenza, forte dei risultati raggiunti guarda al futuro e spera di lasciare un’impronta. In Italia, che non è un Paese per giovani, una carriera così repentina desterebbe qualche sospetto, che il sovrintendente rimanda al mittente. «Non devo ringraziare nessuno perché Dubai Opera è una organizzazione privata, non c’entrano né la politica né il governo», sottolinea. Comunque, il suo si potrebbe considerare un classico caso di fuga dei cervelli. «Nessuna fuga, mi piace pensarmi cittadino globale e poter contribuire a progetti in Italia e all’estero», taglia corto Petrocelli, mentre attraversiamo i larghi corridoi  con vista sulla città: «In Italia abbiamo un sistema culturale organizzato in maniera diversa. Per il bene del nostro Paese spero che si crei una staffetta che consenta alle nuove generazioni di affiancarsi in maniera positiva e non distruttiva a quelle meno giovani».

 

Arrivò qui per la prima volta dieci anni fa il sovrintendente, quando ancora non c’era la Dubai Opera, per contribuire a diversi progetti di diplomazia culturale tra Italia, Europa, Medio Oriente e Paesi del Golfo. E ha visto da vicino il cambiamento. «Un’evoluzione velocissima. Cosa mi ha stupito? Il mondo è molto più internazionale e integrato di quello che a volte raccontiamo dall’Italia. Non c’è una sola visione del fare cultura ma ce ne sono tante. Ed è bene che siano tante».

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