In patria il suo romanzo “Il cammino” è stato per oltre un anno tra i libri più venduti. La scrittrice olandese arriva ora a Torino per incontrare i lettori italiani

Sulle orme della verità - Colloquio con Anya Niewerra

Conosciamo davvero la persona che ci sta accanto? È una domanda che Lotte Bonnet non avrebbe mai pensato di doversi porre nella vita, ma è successo, così, all’improvviso, da un momento all’altro. Ha 44 anni, un marito con cui è sposata da più di venti, due figli e un lavoro che ama nella sua cioccolateria a Vijlen, nei Paesi Bassi. Emil Jukić – questo è il nome dell’uomo – è un rifugiato bosniaco che dopo aver sconfitto il cancro parte alla volta della Spagna per intraprendere “il cammino” verso Santiago di Compostela, ma si suicida poco prima di arrivare alla fine. Per elaborare il trauma e il lutto, la famiglia parte verso la città natale di Emil, in Bosnia-Erzegovina, per spargere le sue ceneri, ma all’arrivo scopre che l’uomo era già morto nel 1995 - o meglio - che una persona con i suoi stessi dati anagrafici era morta trucidata in un’azione della milizia serbo-bosniaca. I resti sono stati ritrovati nel 2017 in una fossa comune e identificati.

 

Siamo solo alle primissime pagine de “Il cammino” (De Camino il titolo originale, in Italia pubblicato da Neri Pozza nella traduzione di David Santoro, presto sarà una serie tv NBO), il libro con cui la scrittrice Anya Niewierra, utilizzando una scrittura fluida e visiva, ha deciso di dar voce a quella donna, alla sua storia e ad altre collegate con un’alternanza di emozioni che vanno dallo sgomento alla rabbia, dall’incredulità alla tristezza. «Quella domanda che si pone Lotte, in realtà, è universale, una di quelle che, purtroppo, possiamo ritrovarci a fare in momenti difficili della nostra vita, dopo un divorzio, ad esempio, quando tensioni e delusioni possono amplificarsi», spiega l’autrice di questo romanzo che in Olanda è stato un vero e proprio caso editoriale con quasi 700mila copie vendute. «L’importante è saper reagire, anche se si è impreparati, e trovare un equilibrio necessario che ci aiuta ad andare avanti», aggiunge. In attesa di rivederla alla 37esima edizione del Salone del Libro di Torino, la incontriamo in un hotel a Herengracht, nel cuore più antico di Amsterdam, poco dopo un incontro organizzato dal Nederlands Letterenfonds-Dutch Foundation for Literature con autori olandesi molto amati e letti come lei. Subito racconta la sua routine da scrittrice: «Mi alzo prestissimo, faccio meditazione ed inizio a scrivere dalle sei fino alle 11. Poi basta, mi dedico ad altro. Amsterdam la vivo da lontano. Preferisco stare nella piccola cittadina di Mechelen, nel Limburgo, tra Maastricht, Aquisgrana e Liegi, nel silenzio. Sono una persona molto spirituale, mi piace passare il tempo libero con i miei cari, tra cui le amiche del collettivo Moordwijven, ma soprattutto con mio marito Frans, «il vento sotto le mie ali». 

 

Continua: «Ognuno rispetta gli spazi dell’altro, condividiamo con piacere quelli in comune e tra noi c’è una fiducia reciproca». Non può certo dire la stessa cosa di suo marito Lotte, protagonista di questo libro a metà tra il thriller psicologico e il romanzo storico. Chi era davvero Emil Jukić? Quali segreti nasconde? «Lotte è convinta di poter trovare le risposte ripercorrendo il cammino fatto dal marito l’anno precedente, dormendo negli stessi ostelli e incontrando gli stessi albergatori. Un cammino che ho deciso di fare io per prima, scoprendo luoghi di una bellezza straordinaria e persone che mi hanno lasciato ricordi indelebili», aggiunge Niewierra. «Ho pensato a questa storia nel 2018, quando dirigevo un ufficio di informazioni turistiche costruendola giorno dopo giorno. Non mi aspettavo che il libro avesse così tanto successo: mi ha fatto un enorme piacere, ovvio, ma non ne sono rimasta sconvolta, perché ho 60 anni, ho fatto le mie esperienze, so cosa conta per me davvero». 

 

Mentre Lotte cerca di superare un grande conflitto interiore, Niewierra ci fa attraversare i sentieri della Spagna galiziana con descrizioni tali da poterne sentire gli odori e i rumori, come il “fragore” di una cascata e i tanti suoni del fiume, “dal mormorio delicato al rombo selvaggio”. Attraverso lettere e capitoli brevi, il lettore è immerso in brandelli di storia sulla guerra dei Balcani, la dittatura di Tito e le infinite bugie - «un argomento complesso su cui mi sono documentata leggendo più di 40 libri» - arricchita da diversi punti di vista, compreso quello di chi l’ha vissuta trasformandosi in carnefice. All’epoca, nel 1990, non c’era internet né i social media. Leggevano «solo quello che volevano i populisti serbi», e bevevano «storie grottesche sui bosniaci cui poi hanno finito per credere», scrive. «Oggi come allora, la prima vittima di ogni guerra è il buon senso». 

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