Un uomo gentile, buono. Ufficiale fascista a Salò. Salvato dai partigiani che gli risparmiano la vita perché lo vedono come amico. Il romanzo di Luigi Contu ispirato alla vicenda di un suo prozio

Una storia di famiglia si trasforma in romanzo per raccontare la Liberazione con sguardo inedito e, sempre, con profonda umanità. È ciò che accade con il libro di Luigi Contu “Domani sarà tardi. Il 25 aprile di un fascista salvato dai partigiani” (Solferino). In queste pagine il diario dell’omonimo prozio dell’autore e giornalista, ritrovato nella biblioteca personale del padre, rappresenta il punto di partenza per la ricostruzione di un momento essenziale della storia italiana ma, soprattutto, una necessaria e personale ricerca di risposte.

 

«Già nel mio primo libro (“I libri si sentono soli” per La nave di Teseo, ndr) affrontavo un simile tema», afferma Contu, che si interroga sulla storia di famiglia e le vicende della grande Storia: «E come fosse stato possibile che una persona come mio nonno, quindi il fratello di Luigi, raffinato intellettuale, traduttore di Paul Valéry e amico di Ungaretti e Cardarelli, non avesse capito quanto il fascismo ci stesse rovinando».

 

Entrambi ufficiali fascisti - il nonno nell’ufficio propaganda della Difesa e il prozio sottosegretario - hanno accumulato negli anni diversi documenti. «Ho avuto così un contatto diretto e molto impattante con la storia fascista di questi miei avi», prosegue Contu: «Ho cercato di capire come non fossero riusciti a rendersi conto di tutta a una serie di cose. Questo è stato il mio interrogativo principale». 

 

Ciò che guida anche l’idea alla base del romanzo, in cui il protagonista è un fascista che non rinnega mai le sue convinzioni, fino all’ultimo, ma al tempo stesso ne riconosce la disillusione. «Mi sono appassionato a leggere i diari del mio prozio perché volevo trovare qualcosa che mi portasse a una risposta. E in effetti alla fine c’è, perché lui parla di un esame di coscienza. Dice: “Non mi pento ma mi rendo conto degli errori”».

 

Il Luigi Contu protagonista e voce narrante del romanzo è un giurista, un intellettuale rivoluzionario e anticapitalista che abbraccia il fascismo come promessa di cambiamento, ma rimane cieco di fronte alla sua crudeltà. È un uomo gentile, buono persino, che riesce a salvare per sé uno spazio di esistenza al di là del ruolo istituzionale che ricopre nella Repubblica di Salò. In questa contraddizione sta la sua salvezza, perché i partigiani che gli risparmiano la vita non vedono in lui solo un fascista, ma un amico, una persona che hanno imparato ad amare e che non esistano ad aiutare.

 

Pur raccontando una storia vera, il materiale da cui nasce il libro è un nucleo molto breve. In tutto «sono dodici o tredici pagine, dal 23 al 26 aprile», prosegue l’autore: «Raccontano i punti principali di ciò che è successo al mio prozio, che però non fa nessun nome o cognome». Personaggi e luoghi non sono mai descritti. L’autore costruisce i primi attraverso la fantasia e i secondi attraverso un meticoloso studio di fonti e territori, fatto anche di viaggi in prima persona nella Val Brembana e a Bergamo, in biblioteca tra i vecchi giornali: «Un po’ per studio e un po’ per curiosità».

 

Ne nasce un’indagine intima che al tempo stesso è un racconto appassionato, popolato da uomini e donne che non si arrendono alla violenza cieca e, pur mantenendo salde le fedi politiche opposte, scelgono di preservare il dialogo. I personaggi diventano «persone che continuano a pensare con la loro testa, nonostante la furia ideologica, e che si aiutano stando anche su fronti contrapposti, magari mentendo, ma conservando sempre una certa umanità».

 

“Domani sarà tardi” ricostruisce cioè legami e relazioni in un’Italia fratturata e narra una società basata sulla tolleranza, perché è «quando non c’è tolleranza che si fatica ad avere una memoria condivisa, da una parte e dall’altra». Lo scopo è anche quello di evitare una conoscenza passiva della storia stessa o, peggio, la sua strumentalizzazione, riportando invece l’attenzione sulla profondità esistenziale di ogni aspetto che il romanzo racconta. «Il desiderio di utilizzare la storia a fini politici porta a fare delle analisi semplicistiche che non servono a capire il passato» aggiunge Contu. «È così che si ripetono meccanismi estremi e radicalizzati che non consentono un ragionamento politico complessivo. Esiste cioè un modo di storpiare la storia a fini politici che continua, si ripete e impedisce la memoria condivisa».

 

Sembra quasi, perciò, che il romanzo voglia raccontare un altro 25 aprile, non diverso nei fatti ma diverso nel vissuto, molto complesso e stratificato, non polarizzato. Pur condannando fermamente il fascismo e le sue conseguenze, Contu lo affronta sia in quanto parte della sua storia personale, a sole due generazioni di distanza, sia come elemento imprescindibile della storia italiana contemporanea.

 

«Chi dimentica il proprio passato è condannato a ripeterlo, chi non conserva la memoria non può avere un futuro», scrive in conclusione del libro. In queste ultime parole racchiude il senso dell’operazione storica e letteraria che è “Domani sarà tardi”, ispirata da fonti e da «testimonianze che per fortuna restano e parlano a tutti noi».

 

Il compito che spetta ai lettori è imparare ad ascoltarle, trascinarle fuori dai testi o dai manuali scolastici e farne memoria viva, consapevolezza attiva, soprattutto in un Paese, come si legge anche nel libro, «che a ottant’anni dalla Liberazione dal nazifascismo non è ancora riuscito a chiudere definitivamente i conti con il proprio passato»

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