La saga finisce con un capitolo sciatto, superato, pieno di difetti. Ma con una mirabile scena d’azione

“Mission Impossible. The Final Reckoning”: il lungo scivolone di Tom Cruise

Tom Cruise contro l’Intelligenza Artificiale. In sigla: MI (Mission Impossible) contro l’IA. Non è solo la trama della nuova puntata di una delle cinesaghe più longeve della storia. È il senso profondo della battaglia che conduce ormai da anni “The Last Action Hero”. L’attore che fa tutto da solo e tutto dal vero. Fosse anche affrontare i nemici a mani nude appeso a un aereo in volo. Ma il coraggio, la perizia, l’energia, il gusto della sfida e il senso dello spettacolo bastano a sostenere l’ottavo titolo di una serie tv rinata al cinema nel 1996, quasi trent’anni fa? O l’ultimo divo del cinema d’azione, malgrado l’eterna giovinezza, rischia di somigliare al proverbiale giapponese rimasto sull’isola a combattere una guerra persa?

 

Il sospetto è crudele, anche perché la carriera di Cruise, piacciano o meno le sue scelte personali (tipo Scientology, per dirne una), incute massimo rispetto. Per la coerenza di fondo e per la bontà, molto spesso, dei risultati: non sarà solo merito suo, ma trovate un’altra star del suo genere con una media così alta. Detto questo, inutile girarci intorno: malgrado il lancio a Cannes, “The Final Reckoning” è un lungo scivolone rischiarato da una sola vera grande scena d’azione nelle gelide acque artiche (grande e solitaria, oltre che di grande potenza simbolica, in un certo senso Ethan Hunt muore e rinasce). Ma zavorrato quanto al resto da interminabili riassunti e spiegoni affidati ai primi piani dei tanti personaggi, scritti e girati con svogliatezza.

 

Troppo complicata, fragorosa e insieme infantile la trama, che rielabora faticosamente l’ultimo episodio del 2023. Troppo anacronistica la tela di fondo politica, il mondo è cambiato e non ci si crede mai (guardate un po’ chi c’è alla Casa Bianca...). Usurato, infine, il tema della lotta del Bene (il mondo reale, dove le cose hanno ancora peso, forma, consistenza) contro il Male (il mondo digitale, onnipotente e impalpabile). Anche perché quest’ultimo genera oggetti e ambienti decisamente poco sexy. Dunque, rieccoci appesi ai cari vecchi mezzi di locomozione di una volta, ieri il treno, oggi il biplano, che sbanda e picchia tra le gole del Sudafrica. Ma senza l’adrenalina, l’inventiva, l’energia, la contagiosa follia dell’ultimo trascinante episodio, girato come si ricorderà anche nelle strade di Roma, mentre qui tutto sa ahinoi di formula. E il fervorino finale in puro stile Scientology, con tanto di apologia del militarismo camuffata da elogio della libertà individuale e del coraggio, mette un po’ i brividi. Caro Tom, perché?

Azione! E stop

Chi si rivede, Cossiga! Convertito in paradossale icona pop, il picconatore ossessiona lo svitato (e formidabile) Luciano Curreli in “La guerra di Cesare”, esordio bislacco, febbrile, magari imperfetto del sardo Sergio Scavio. Un talento fuori norma che un cinema sano dovrebbe coltivare. Anziché consegnare al solito e pilatesco fai-da-te.

 

Tax credit, aiuti statali, teniture, insomma numeri. Tutti invocano il modello francese. Mai nessuno che ricordi una semplicissima verità: Parigi dIfende il cinema non solo a suon di quote e finestre ma di cultura, per esempio portandolo nelle scuole fin dalle elementari. Anzi no, uno che se ne ricorda per fortuna c’è: Matteo Garrone.

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