L’anniversario del film di Roberto Rossellini sarà celebrato con una proiezione de Il cinema in piazza, a Roma. Una collaborazione della Fondazione Piccolo America con gli eredi del regista

“Roma città aperta”, un inno alla Liberazione da 80 anni

«Tornerà pure la primavera. E sarà più bella delle altre, perché saremo liberi» diceva Francesco (Francesco Grandjacquet) alla Pina di Anna Magnani in “Roma città aperta”. «Bisogna crederlo, bisogna volerlo». La primavera, la rinascita, a cui si riferiva il celebre dialogo nel film di Roberto Rossellini arrivò per Roma il 4 giugno 1944, con il ritiro delle truppe tedesche lungo la via Cassia e la liberazione della capitale. Non senza un ultimo spargimento di sangue, ricordato come l’eccidio nazista de La Storta. La Roma immortalata da Rossellini sullo schermo nel 1945 è perciò ancora quella ferita e distrutta dalla guerra, diventata simbolo del Neorealismo italiano insieme a pochi, pochissimi altri titoli in realtà, girati tra le vere macerie dell’immediato dopoguerra, in un’Italia appena sopravvissuta alla crudeltà del conflitto.

“Roma città aperta”, anche per l’impossibilità storica di usare gli studi di Cinecittà riconvertiti in dormitori di prima accoglienza per gli sfollati, fu perciò girato quasi interamente in esterni reali e riconoscibili, o divenuti tali proprio dopo l’uscita del film, come via Raimondo Montecuccoli, dove è ambientata la celebre scena della morte di Pina.

Rossellini riuscì a fotografare per sempre una città, in momento irripetibile della sua storia.  È per questo che per celebrare gli ottanta anni del capolavoro - e non è un’iperbole - del regista, Roma lo celebra con una proiezione gratuita all’interno del programma di “Il cinema in piazza” della Fondazione Piccolo America, in collaborazione con gli eredi di Rossellini e il progetto ‘Tornerà la Primavera” di Onni srl.

A introdurre il film, il 4 giugno alle 21,15 in Piazza San Cosimato a Trastevere, sarà un incontro con tre architetti, Maria Claudia Clemente, Francesco Isidori e Roberto Pantaleoni, moderato dal giornalista Damiano Panattoni e introdotto dalla regista e sceneggiatrice Susanna Nicchiarelli. Un’occasione per ripensare, ancora una volta, a come Roma abbia portato e porti ancora, nei suoi quartieri, i segni della violenza indicibile dell’occupazione ma anche della sua tenace resistenza. Dai fori dei mitra sui palazzi in via Rasella ai segni delle bombe nel quartiere San Lorenzo. Dalle vie del Quadraro, il “nido di vespe” che i nazisti non riuscirono mai a espugnare, fino di nuovo a Trastevere, in Via della pelliccia numero 8, dove il fabbro Enrico Ferola fondeva i suoi celebri chiodi a quattro punte usati contro gli autocarri tedeschi. Il film in realtà non mostra quasi nulla di tutto questo, ma è da qui che nasce, ne è la diretta conseguenza, come bisogno espressivo immediato.

Da ottanta anni “Roma città aperta” dialoga direttamente con la storia italiana, fino a diventarne parte e documento stesso. Ambientato dopo l’armistizio del ’43, nella (stra)ordinaria resistenza, non solo partigiana ma di un’intera comunità civile, fatta di donne e uomini, preti e comunisti, artisti e militanti, il film di Rossellini definisce i confini della rappresentazione dell’occupazione nazista in Italia. E non solo.

L’uso di ambienti reali, di molti attori non professionisti e di uno stile visualmente brutale - involontariamente documentaristico rispetto alle commedie patinate dei “telefoni bianchi” del ventennio fascista - trasformano per sempre il cinema italiano e l’idea di ciò che il cinema avrebbe potuto e dovuto rappresentare per il pubblico. Da propaganda del regime a nuove voce, con Rossellini e la sua Trilogia antifascista, di cui “Roma città aperta” è il primo capitolo, le immagini cinematografiche cambiano pelle e scopo. Diventano uno strumento di lotta e di espressione anche contro chi, nei palazzi della politica avrebbe preferito «lavare i panni sporchi in casa».

“Roma città aperta”, dal 1945 a oggi, mostra cioè un volto vero e inedito del Paese al mondo e agli italiani stessi. Primo e fondamentale passo per ricostituirsi come popolo dopo l’orrore nazifascista.

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