Cultura
12 settembre, 2025Il 12 settembre 1975 uscì uno degli album più importanti della storia della band britannica. E del rock. L'atto d'amore dei musicisti del gruppo al loro compagno di viaggio degli esordi. Amico folle e geniale
"Wish you were here" compie 50 anni
C’era una volta un musicista geniale afflitto da gravi problemi psichici. Si chiamava Syd Barrett e nel 1965 fondò, insieme ad altri musicisti geniali - Roger Waters, Richard Wright e Nick Mason, mentre il chitarrista David Gilmour si unì nel 1968 - una delle band che hanno fatto la storia del rock. I Pink Floyd.
È in gran parte suo il merito del successo del gruppo britannico, mantenuto anche dopo la sua uscita. Dopo qualche anno, infatti, Barrett (che morì molto più tardi a causa di un tumore al pancreas, il 7 luglio 2006, a 60 anni) si eclissò e il suo nome restò avvolto nell’ombra. Era destinato all’oblio, invece diventò leggenda.
Erano ancora lontani i tempi in cui gli artisti parlavano liberamente delle loro malattie mentali, disagi e debolezze. La follia era stigmatizzata, temuta, avversata. Per questo il tributo a lui dedicato dai compagni di viaggio di un tempo lo ha reso immortale. È dedicato a lui, infatti, l’album dei Pink Floyd che festeggia il suo primo mezzo secolo, “Wish you were here”, in italiano “Vorrei che fossi qui”. Il disco reso celebre dalla copertina, con la foto di due uomini che si stringono la mano, e uno di loro che prende fuoco. Si tratta dello stunt man Rondy Rondell Jr., scomparso ad agosto scorso.
Arrivò dopo il trionfo di "The Dark Side of The Moon", ma la sua genesi non fu semplice. La creazione dell'album fu segnata da tensioni e crisi creative, alternate a momenti di grande ispirazione.
«Quanto vorrei, quanto vorrei che tu fossi qui/ Siamo due anime perse che nuotano in un acquario/ Anno dopo anno/ Correndo sullo stesso terreno di sempre, cosa abbiamo trovato? Le solite vecchie paure, vorrei che fossi qui», recita il brano che dà il titolo all’album.
La canzone “Shine On You Crazy Diamond”, invece, è universalmente considerata una delle più belle composizioni sulla follia. Proprio durante la registrazione del disco Barrett, inaspettatamente, entrò nello studio e il suo arrivo portò una profonda malinconia tra i membri della band, che dopo quel giorno non lo rividero più.
Un amore, quello dei fan della band, che prosegue attraverso le generazioni. Quest'anno la riedizione dello storico doppio live "Pink Floyd At Pompeii", tutt’altro che di facile ascolto, in Italia è finito al primo posto della classifica degli album e dei vinili.
“Wish you were here” (1975) è riconosciuto come uno degli album più importanti della storia del rock. L’altro giorno il Guardian ha stilato la classifica delle prime venti canzoni della band. E al primo posto ha messo proprio la canzone che dà il titolo all’album. «Semplice e diretto come lo erano i Pink Floyd degli anni '70, il che potrebbe spiegare perché sia stato reinterpretato da tutti, dagli Sparklehorse e Thom Yorke alla band metal Avenged Sevenfold e – sì! – Susan Boyle», ha scritto il critico musicale Alexis Petridis, che non risparmia una frecciatina: «C'è anche un calore e un'empatia notevolmente assenti nelle opere successive dei Pink Floyd».
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