Altro che riciclare. La nuova frontiera dell'ambientalismo si chiama 'no waste', una tendenza sempre più diffusa a livello internazionale, che vuole l'eliminazione totale dei rifiuti. Che non si tratti solo di un sogno o di un trucco da marketing aziendale lo dimostra il fatto che su questo principio ad Abu Dhabi stanno addirittura costruendo una città, Masdar City, che alla fine avrà più o meno le dimensioni di Venezia. è stata progettata dalla Foster and Partners, lo studio al quale si devono il Millennium Bridge e, in Italia, il quartiere di Milano Santa Giulia. Situata su 1.483 acri di deserto, la nuova città ospiterà impianti industriali per la produzione di merci ecologiche, un complesso universitario, insediamenti residenziali e il quartier generale della Future Energy Company.
Ma il miraggio del 'no waste' non attrae solo i signori dei petrodollari. Dall'area di Canberra a San Francisco, passando per i due terzi delle municipalità neozelandesi, la Svezia, buona parte della Germania, New York, Buenos Aires, il Sudafrica, la Norvegia, Taiwan e l'Irlanda il numero degli enti pubblici che mirano a eliminare la spazzatura sta crescendo a vista d'occhio. E non si tratta solo di enti locali. La febbre sta contagiando le grandi corporation del pianeta, che cominciano a intravedere qualche ragione di profitto.
Recentemente ha fatto notizia la decisione presa dalla statunitense Wal-Mart, la catena di supermercati più grande del mondo, di saltare anche lei sul carro ecologista che elimina la spazzatura. E la cosa non dovrebbe stupire: i dirigenti della ditta di Bentonville, in Arkansas, hanno scoperto che adottando il 'no waste' riusciranno a risparmiare oltre 500 milioni di dollari l'anno. Anzi, nel caso della Wal-Mart l'intera operazione potrebbe trasformarsi in una miniera d'oro: secondo calcoli della Communications Consulting Worldwide il valore di mercato del colosso dei supermercati aumenterebbe di 16 miliardi di dollari. Wal Mart si è data due anni di tempo per ridurre i rifiuti del 25 per cento e per convincere i 60 mila fornitori con i quali lavora a ridurre il volume dei loro imballaggi.
Il gigante dell'Arkansas non è che una goccia nell'oceano dell'imprenditoria 'ecofriendly', industria che ha un giro d'affari di 600 miliardi di dollari e si sta espandendo alla velocità della luce. In base ai dati resi noti dal Grassroots Recycling Network, un'associazione internazionale che si batte per l'eliminazione degli sprechi, Hewlett Packard riutilizza il 90 per cento dei suoi rifiuti solidi. Destinati alle discariche e agli inceneritori, questi scarti - valore medio un milione di dollari la tonnellata - adesso vengono reinseriti nel ciclo produttivo. La Apple, nel suo stabilimento di Elk Grove (quello dal quale escono i mitici Mac) ha raggiunto un livello di riciclaggio del 90 per cento. La Interface Inc., il principale produttore di moquettes del mondo, 2 miliardi di dollari di fatturato, riutilizza il 90 per cento dei suoi scarti. La Xerox Corp, una delle antesignane del movimento, reinserisce l'88 per cento dei suoi rifiuti nel ciclo produttivo. Inoltre, impegnata a imporre lo zero waste a livello planetario, ha anche chiesto ai suoi fornitori di riusare il 90 per cento dei loro prodotti.
Con il metano prodotto dai suoi impianti di fermentazione, invece, la New Belgium Brewery di Fort Collins in Colorado, una delle più stimate birrerie degli Usa, produce abbastanza elettricità per alimentare il suo stabilimento e distribuire energia a una decina di residenze del circondario. Un'altra storia di successo è quella della New United Motor Manufacturing: una joint venture Toyota-General Motors che produce 350 mila veivoli l'anno e, rispedendo ai fornitori i contenitori nei quali arrivano le componenti degli automezzi, riesce a risparmiare 20 milioni di dollari l'anno.
Ma che cos'è esattamente il 'no waste'? La risposta arriva da Barry Commoner, biologo, professore alla City University of New York, tra i padri fondatori del movimento ecologista moderno e primo a lanciare l'idea attraverso il suo bestseller 'The Closing Circle'. "L'idea del 'no waste' è semplice", dichiara Commoner: "Se un prodotto non ha altri impieghi oltre a quello iniziale, allora non dove essere realizzato. In sintesi se non può essere ridotto, riusato, riparato, ricostruito, riattato, rivenduto, riciclato o biodegradato, allora dovrà essere ristretto, ridisegnato o rimosso dalla produzione". Dichiarazione profetica quella di Commoner, che il Berkeley Ecology Center, uno dei principali centri di riconversione dei prodotti industriali degli Stati Uniti, ha scolpito sulla pietra all'entrata del suo stabilimento, come se si trattasse dei dieci comandamenti.
"Sebbene tra gli scopi del 'no waste' ci sia anche quello di educare la gente su cosa devono o non devono gettare nel cestino della spazzatura, il problema reale è quello della gestione dei rifiuti industriali", spiega Gary Liss, un consulente aziendale californiano esperto nell'analisi dei processi produttivi delle grandi multinazionali: "E per convincere il dirigente di una grande azienda a saltare sul treno del 'no waste' non c'è niente di meglio di rivelargli che il 60 per cento delle materie prime impiegate dai suoi stabilimenti finiscono nella spazzatura". Commoner ritiene che quello dell'eliminazione dei rifiuti sia un obiettivo encomiabile, ma a suo parere la risposta allo spreco e alla valanga spazzatura che soffocano la Terra sta nel concepire processi produttivi che non generano rifiuti e dove i sottoprodotti vengano rimessi in circolazione.
Questo è per esempio quello che fa l'atelier Patagonia quando usa la plastica delle bottiglie riciclate per produrre maglie termiche e cappelli simil lana. La Herman Miller, invece, costruisce sedie e arredamenti per uffici usando materiali di scarto delle aziende dell'alta tecnologia. La Richlite Company di Tacoma sforna componenti per cucine impiegando gli scarti dall'industria agricola; la Norcal californiana produce concimi con i rifiuti organici residenziali di San Francisco e la BioFuel Oasis di Berkeley trasforma l'olio delle industrie alimentari in un biodiesel utilizzabile da qualsiasi motore diesel senza necessità di conversione.