Per Pirelli la vendita agli spagnoli di Telefónica è la soluzione più vantaggiosa. Ma Guido Rossi e i soci minori di Telecom frenano

Chi ha incontrato di recente Marco Tronchetti Provera racconta di averlo sentito parlare come un uomo ben consapevole che in queste settimane si sta giocando la partita decisiva della sua carriera di imprenditore. Non finge di ignorare, Tronchetti, che ormai i suoi margini di manovra come socio di comando in Telecom Italia sono ridotti al minimo, stretto com'è tra l'esigenza di conservare l'equilibrio finanziario della sua Pirelli e le necessità di sviluppo del gruppo telefonico. L'orgoglio e il puntiglio, che certo non gli fanno difetto, lo spingerebbero a resistere a oltranza, trincerato in un fortino difeso ormai da pochi fedelissimi. Sarebbe una soluzione estrema, condannata in partenza dai numeri di bilancio di Telecom, che ha bisogno in tempi brevi di nuove risorse da investire. Risorse che adesso come adesso Pirelli non è in grado di assicurare.

Conviene allora esplorare le alternative praticabili. E in queste settimane i consulenti di Tronchetti gli hanno prospettato tre soluzioni. La prima sarebbe lo scorporo della rete fissa, da collocare in una nuova società a partecipazione pubblica e aperta anche agli altri operatori telefonici nazionali. Uno schema che in qualche modo ricalca il piano che nell'agosto scorso provocò una tempesta politico-giudiziaria e finì per costare il posto al suo autore, Angelo Rovati, allora consigliere di Romano Prodi. Per Tronchetti, però, quello è un discorso chiuso per sempre fin da settembre, quando arrivò a polemizzare apertamente con il presidente del Consiglio. In altre parole il patron di Pirelli non vuol sentir parlare di quella che potrebbe essere interpretata come una nazionalizzazione della rete telefonica. Niente da fare, quindi, anche perché neppure i possibili interlocutori nel governo e tra i partner privati sembrano disposti a muoversi in questa direzione.

Restano allora due ipotesi. Ed è su queste che si sta consumando uno scontro molto pesante nei salotti della politica e della finanza. La prima soluzione ruota attorno al mondo del credito con l'obiettivo finale di mettere insieme una cordata di investitori disponibili ad affiancare Tronchetti nel controllo dell'ex monopolista telefonico. L'altra è quella che si è conquistata in questi giorni i titoli dei quotidiani. E cioè un'intesa con il gruppo spagnolo Telefónica.

Le due alternative, incompatibili tra loro, strada facendo si sono guadagnate sponsor diversi, tutti impegnati in un fitto lavorio diplomatico dietro le quinte, tra ballon d'essai e mezze verità fatte filtrare ad arte. Il presidente di Telecom Guido Rossi (in questi giorni impegnato a pensare come contenere lo sbarco di Beppe Grillo e dei suoi fan alla prossima assemblea degli azionisti, nell'auditorium di Rozzano) vedrebbe con favore una soluzione istituzionale-bancaria. E su questa stessa linea sembra si stia muovendo anche Mediobanca. In sostanza, si tratterebbe di riscrivere, su basi più ampie, il patto di consultazione varato solo poche settimane fa tra i grandi soci della compagnia. Da una parte la holding Olimpia (80 per cento da Pirelli e 20 per cento Benetton) a cui fa capo la quota di comando di Telecom, pari al 18 per cento. Dall'altra, oltre a Mediobanca, le Assicurazioni Generali, forti complessivamente di un 6 per cento scarso del capitale. Ma sarebbero della partita anche altri istituti come Capitalia e Intesa Sanpaolo, già soci e grandi finanziatori della galassia Tronchetti. Sul tema, a dir poco scottante, le banche sono divise tra loro e anche al proprio interno. L'Unicredit di Alessandro Profumo ha già manifestato la propria indisponibilità. Mentre ai vertici di Capitalia l'argomento ha approfondito il solco tra il presidente Cesare Geronzi, favorevole all'intervento, e l'amministratore delegato Matteo Arpe, che invece avrebbe mostrato di voler evitare un ulteriore coinvolgimento.

La trattativa, finora allo stadio di sondaggio esplorativo, rischia di arenarsi su due questioni fondamentali. Da chi compreranno le banche? E a quale prezzo? Anche dopo i forti rialzi di questi ultimi giorni, i titoli Telecom viaggiano in Borsa su quotazioni inferiori a 2,5 euro. Olimpia invece vorrebbe vendere almeno a tre euro, pari al valore della quota di Telecom scritto a bilancio.

Si capisce, allora, perché Tronchetti spinge sull'opzione Telefónica. Gli spagnoli, secondo quanto si ipotizza in ambienti finanziari, avrebbero lasciato la porta aperta a un acquisto sulla base di tre euro per azione. Così come è stato prospettato in questi giorni, l'eventuale ingresso degli spagnoli passerebbe dunque dalla holding Olimpia. Il gruppo iberico potrebbe arrivare a comprare fino al 30 per cento, in modo da lasciare in mano italiana una larga maggioranza. Risultato: il denaro versato da Telefónica per sedersi al tavolo della telefonia italiana, almeno un miliardo di euro, finirebbe nelle casse delle aziende di Tronchetti e, pro quota, dei suoi alleati di Treviso. Un'operazione così congegnata, come suggerisce una recente analisi pubblicata dalla banca svizzera Ubs, finirebbe per risolvere una volta per tutte i problemi finanziari di Pirelli, di fatto azzerandone i debiti. L'azienda della Bicocca potrebbe darsi una nuova missione e Tronchetti, dopo aver pilotato una grande operazione internazionale sul fronte telefonico, potrebbe rilanciare la propria immagine di capo azienda. Va detto che i contatti con gli spagnoli, tra infiniti alti e bassi, vanno avanti da almeno 18 mesi. In passato però, il numero uno César Alierta si era detto disponibile a trattare solo per l'acquisto di una quota di maggioranza del concorrente italiano. Che cosa avrebbe fatto cambiare idea al manager iberico? Perché le trattative sono ripartite su basi nuove? Le risposte possibili vanno cercate su due mercati, quello brasiliano e quello europeo.

L'attenzione di Telefónica per la presenza del gruppo italiano in Brasile potrebbe a prima vista sembrare un paradosso. Gli spagnoli, infatti, sono il primo gestore sul più importante mercato latino-americano di telefonia cellulare. La loro partecipazione nell'operatore Vivo, controllato assieme a Portugal Telecom, ne fa infatti il numero uno in Brasile, con 29 milioni di clienti a fine 2006. Tim Participaç es, la holding brasiliana del gruppo italiano, è il concorrente più agguerrito di Vivo, con 24,1 milioni di utenti (il dato è relativo a fine settembre). In Brasile, dunque, Telefónica e Telecom si fronteggiano come rivali impegnate a strapparsi i clienti l'un l'altra e una collaborazione fra loro pare difficile, poiché insieme arriverebbero a una quota di mercato vicina al 60 per cento.

La situazione potrebbe non essere così statica. Secondo persone che hanno lavorato in Telecom, fra le ambizioni di Alierta potrebbe esserci addirittura un clamoroso scambio: uscire da Vivo per accaparrarsi quella Tim Brasil che il gruppo italiano, nei ribaltamenti continui di strategia, ha meditato fino a poco tempo fa di vendere. Anche se sul mercato figura solo come numero due, Tim Brasil è infatti più avanti da numerosi punti di vista. È l'unico operatore presente su tutto il territorio, mentre Vivo solo ora sta tentando di entrare nel grande stato del Minas Gerais e in altri dove non è mai sbarcata, soprattutto nella regione del Nord-est. Inoltre Tim Brasil è già attiva ovunque con tecnologia Gsm, mentre Vivo ha iniziato ad aggiornare la propria rete solo adesso e al momento può offrire cellulari di nuova generazione limitatamente alla città di San Paolo.

Anche in Europa Alierta potrebbe nutrire la speranza di sfruttare quel che resta della presenza internazionale di Telecom. L'occhio degli spagnoli sarebbe caduto in particolare su tre Paesi - Francia, Olanda e Germania - dove il gruppo guidato da Guido Rossi fornisce l'accesso a Internet cosiddetto 'a banda larga', con una più ampia capacità di trasmissione dei dati. In Olanda e in Francia Telefónica è del tutto assente, mentre Telecom opera attraverso le controllate BBNed e Telecom Italia France, quest'ultima impegnata proprio in queste settimane in una tambureggiante campagna promozionale.

In Germania invece entrambi i gruppi sono già attivi, gli spagnoli con Telefónica Deutscheland e gli italiani con i servizi a marchio 'Alice', commercializzati dalla filiale Hansenet. Proprio il mercato tedesco, il più ampio in Europa sia per popolazione che per diffusione dei servizi di telecomunicazione, potrebbe però essere un importante obiettivo di Alierta: "La concorrenza nella banda larga si sta intensificando e le aziende del settore hanno già avviato una prima ondata di concentrazioni", spiega Rob Gallagher, analista di Informa, società londinese di consulenza specializzata nelle telecomunicazioni. "La Bundesnetzagentur, l'Authority tedesca delle reti, sta incoraggiando gli investitori strategici a consolidare il mercato via cavo nazionale, per dare il via a una nuova fase di concorrenza fra le diverse infrastrutture che garantiscono il collegamento a banda larga", continua Gallagher. In questo contesto gli avversari non stanno fermi un minuto - nuove iniziative sono segnalate sia dall'ex monopolista Deutsche Telekom sia da concorrenti più piccoli come NetCologne - e l'annessione di Telecom Italia potrebbe garantire a Telefónica basi più solide per restare al passo del mercato.

Da questi esempi emerge con chiarezza uno dei dubbi di un eventuale ingresso di Telefónica in Olimpia. Che ruolo giocherebbe la compagnia spagnola? Porterebbe vantaggi a tutti gli azionisti di Telecom o mirerebbe semplicemente a spolpare il gruppo italiano di quel che resta di buono? La presenza di un alleato industriale per Telecom è una richiesta che da tempo viene avanzata dai Benetton, soci di Tronchetti Provera sia in Pirelli che in Olimpia, e una soluzione "duratura" sarebbe l'orientamento che anche alcune delle numerose banche a vario titolo coinvolte nell'azionariato del gruppo avrebbero chiesto al presidente della Pirelli.

Tra tante incognite le trattative rischiano di andare per le lunghe. In Borsa gli investitori si aspettano segnali chiari nel breve termine. L'appuntamento decisivo è fissato per il prossimo 9 marzo, quando i vertici del gruppo incontreranno la comunità finanziaria per la presentazione del nuovo piano industriale. Gli analisti chiedono risposte alle molte sfide che il presidente Guido Rossi ha di fronte: i margini di profitto in calo per effetto della crescente concorrenza su un mercato ormai maturo; gli investimenti miliardari necessari per realizzare la nuova rete in fibra ottica; i tempi lunghi perché questo impegno garantisca un effettivo ritorno economico. Dopo i continui cambi di rotta degli ultimi mesi nelle strategie industriali, non sarà facile convincere la Borsa che Telecom ha trovato la propria strada. Con un nuovo socio di comando o senza. n

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