La Cina, lo sappiamo, corre da anni e spesso il Pil sfonda il muro della crescita a due cifre. La Russia di Putin fa più 4 per cento. La Bielorussia di Aleksandr Lukashenko si attesta su un notevole 7,6. I due Congo stanno tra l'8 e il 10 per cento. Il Vietnam al 9, il Sudan oltre l'8.
Che cosa hanno in comune questi paesi? Che sono retti da regimi autoritari. Tanto che, in questi tempi di crisi, torna in voga un'idea non nuova: un regime ha processi decisionali più efficienti e, guidato da un dittatore-salvatore, funziona meglio di una democrazia per uscire dalla crisi. Ma è proprio così? O è uno dei casi in cui, magari con la giustificazione dell'emergenza, ci si rifugia nel sogno? Un "salvatore", buono per definizione, e un po' di "sana" repressione ci trarranno di impaccio.
Negli anni Sessanta e Settanta, quando i problemi dello sviluppo e della crescita economica si sono imposti al centro dell'agenda in diverse aree del mondo, ma soprattutto in America Latina, il ricorso a regimi militari è effettivamente sembrato la soluzione vincente. L'idea era proprio che quei regimi avrebbero assicurato la crescita come modalità principale di sviluppo.
Lo stesso governo degli Stati Uniti, ossessionato dalla Cuba castrista, ha appoggiato quelle soluzioni. L'esito è stato vario: in qualche caso vi è stato un buon successo economico - Cile e Brasile - in numerosi altri casi (specie in Perù e Argentina) è andata male con accumulazione di debito e mancata crescita. Negli anni Ottanta la stessa soluzione, ossia un regime autoritario come contesto istituzionale ideale per la crescita economica, è stata sperimentata nel Sud-est asiatico: forme autoritarie hanno assicurato che Corea del sud e Taiwan diventassero le "tigri asiatiche" con un alto sviluppo.
Che cosa succede oggi nei paesi autoritari? Crescono di più delle democrazie? I dati sulla crescita economica della World Bank e sulle democrazie e gli autoritarismi esistenti, secondo le rilevazioni di Freedom House, mostrano che nel 2010 i 70 paesi definibili sicuramente come democrazie - quasi tutti paesi che appartengono all'Europa e all'America Latina, oltre ad alcuni Paesi asiatici e qualche paese africano - crescono in media del 2,3 per cento rispetto al Pil dell'anno precedente, mentre i 47 paesi autoritari crescono più del doppio, 4,9 per cento in media. Quando si vanno a vedere i dati degli autoritarismi più in dettaglio, con sorpresa ancora maggiore si constata che quelli più autoritari (indicati come AAAA) crescono più degli altri, al punto che sembra fortemente confermata l'ipotesi: più sono autoritari, più crescono. È possibile? È un abbaglio? È un "non è come sembra"?
Se, però, consideriamo i 57 paesi definiti ibridi, vediamo che hanno una crescita media sostanzialmente pari a quelli autoritari (5,0 per cento). Questi sono regimi che stanno in una posizione intermedia tra democrazia ed autoritarismo, e possono essere distinti tra ibridi democratici (ID), più vicini alla democrazia, ibridi autoritari (IA), più vicini all'autoritarismo, e ibridi in senso stretto (I), che sono a metà tra le due forme principali. In essi non ricorrono le caratteristiche di efficienza che sarebbero proprie dei regimi autoritari, e che sono invocate come strumenti della crescita economica. Sono, infatti, paesi "anfibi" in cui vi è incertezza ed ambiguità politica, e certamente non processi decisionali efficienti. Ma sono anche Paesi che appartengono alle stesse aree, specie dell'Africa e dell'Asia, dei paesi autoritari. Con questo indizio facciamo un primo passo avanti per capire meglio il problema.
Ne possiamo fare un secondo chiedendoci, quasi per paradosso, non quali sono i paesi che hanno una crescita maggiore, ma quelli che hanno i problemi economici e sociali più gravi, in breve quelli che sono definiti "Stati falliti" dal Fund for Peace e altri istituti. Tali paesi non sono in grado di rispondere alle esigenze primarie di una collettività, per la presenza di una pressione demografica crescente, massicci spostamenti di rifugiati, conflittualità tra gruppi, specie etnici, fughe continue dal paese, sviluppo economico squilibrato, povertà e declino economico accentuati, delegittimazione delle istituzioni pubbliche, peggioramento continuo dei servizi pubblici, violazione dei diritti umani e assenza di legalità, ruolo dei servizi di sicurezza, interventi esterni.
Se combiniamo i risultati dell'indice degli Stati "falliti", predisposto da Foreign Policy e dal Fund for Peace, abbiamo la sorpresa di trovare che tra i 33 Stati considerati "critici" o "in pericolo" (escluse Somalia e Nord Corea sulla cui crescita non abbiamo dati), 23 hanno percentuali di crescita superiori al 3,5. Dunque, la crescita non è il risultato dell'autoritarismo, che porta in altre direzioni negative in termini di diritti e repressione, ma del livello assai basso di sviluppo economico di partenza. Ancora più rivelatore è vedere quali sono gli Stati più poveri al mondo e quale la loro crescita. Di nuovo, a parte Somalia, Nord Corea e Haiti, 14 paesi su 17 crescono del 3,3 per cento, e spesso anche di più, ma la maggioranza di questi ovvero 13 su 20 sono regimi ibridi, non sono autoritarismi.
Insomma, la realtà è molto diversa dall'apparenza suggerita dal puro dato di incremento del Pil: più autoritarismo eguale più crescita. Da una parte, gli autoritarismi che in passato hanno avuto successo, quale quelli cileno, brasiliano, taiwanese o sud-coreano, sono stati trasformati proprio da quel successo in democrazie; dall'altra, in condizioni di povertà, regimi ibridi possono avere più successo economico degli autoritarismi. Inoltre, a parte due eccezioni assai importanti di grandi paesi autoritari con ampie zone di sottosviluppo, quali Cina e Russia, la gran parte dell'umanità ha scelto la democrazia come assetto politico prevalente.
Dunque, il mito dell'autoritarismo efficiente e del dittatore che ci salverà appartiene al passato, ma - bisogna riconoscerlo - è duro a scomparire del tutto sia perché ritorna nel dibattito politico sia, soprattutto, perché si ripropone trasfigurato nei diversi neo-populismi democratici emersi in questi anni.
Economia
4 novembre, 2011I numeri dicono che nei paesi autoritari (compresi Cina e Russia) l'economia corre il doppio che nei Paesi democratici. Un dato allarmante, ma attenzione a non semplificare troppo
Al Pil piacciono le dittature?
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