Il 23 maggio l'assemblea di Confindustria apre un ciclo: nuovo presidente, imprenditore di successo internazionale, innovativo. Dialogherà con un governo guidato da un presidente omogeneo. Entrambi sono stati chiamati a gestire l'emergenza e rilanciare la crescita.

Il programma di Giorgio Squinzi, approvato il 19 aprile dalla Giunta di Confindustria, ha indicato come condizioni necessarie affinché le imprese producano crescita economica le seguenti venti priorità: semplificazione della Pubblica Amministrazione; liberalizzazioni; crescita della dimensione delle imprese; programmazione e governo delle infrastrutture; agenda digitale; reti d'impresa; lobby in Europa; relazioni industriali innovative; semplificazione delle politiche regionali; legalità e controllo del territorio; fisco equo e semplice; partnership pubblico-privato in ricerca e innovazione; internazionalizzazione; tutela del Made in Italy; sviluppo sostenibile; politica energetica; Mezzogiorno; questione giovanile; education; sistema associativo efficiente e autorevole.

Quando sono troppe, le priorità perdono il loro carattere. Inoltre, c'è squilibrio tra le molte cose chieste alle istituzioni e le poche che si impegna a fare Confindustria. Piuttosto, colpisce favorevolmente che non si chiedono agevolazioni. Squinzi è fatto così, è serio, non chiede favori ma pretende che funzioni ogni ingranaggio del sistema.

Il presidente Monti ha incaricato Francesco Giavazzi di progettare un taglio dei trasferimenti dello Stato alle imprese. Per la verità, in Italia, un po' di copertura finanziaria ormai ce l'hanno solo i contratti di sviluppo, i programmi operativi interregionali (oltretutto soltanto per Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) e una coda del vecchio Fondo innovazione tecnologica. Tra Squinzi che non chiede, Monti che non dà e Giavazzi che taglia c'è piena sintonia.

Il ministro dello Sviluppo economico ha auspicato che l'Europa faccia la sua parte. Ogni attore si appella a un regista di rango superiore e risale la piramide di responsabilità fino al vertice che sta a Bruxelles. L'Europa però è ancora molto diversificata. Per esempio, Hollande ha detto che creerà una banca d'investimento per consentire alle Regioni di acquisire partecipazioni in campi strategici per lo sviluppo locale. Sarebbe l'opposto delle liberalizzazioni.

Confindustria non ha posto alcun ultimatum per le sue venti condizioni. Siccome è impossibile che vengano soddisfatte tutte subito, è lecito chiedersi se e quando le imprese ritroveranno la propensione all'investimento smarrita sette anni fa, se e quando i loro azionisti la smetteranno di dividersi tutti gli utili di esercizio.

Per queste ragioni, come ventunesima priorità mi permetto sommessamente di suggerire un capovolgimento della piramide di responsabilità. Squinzi è uno degli imprenditori migliori. Negli ultimi dieci anni il suo gruppo ha quasi triplicato il giro d'affari, ha migliorato valore aggiunto e redditività, ha quintuplicato il capitale di rischio, ha più che raddoppiato i livelli occupazionali. Lo ha fatto senza grosse agevolazioni e sgravi fiscali. Dunque, ha l'autorevolezza non solo per elencare venti condizioni, ma anche per scuotere il suo popolo dal torpore e per dirgli che rischiar soldi lavorando bene conviene ancora. Si potrebbe obiettare che questo non rientri nei compiti di un presidente di Confindustria. In effetti non ricordo chi l'abbia fatto. Ma l'art. 3 dello statuto dice che tra gli scopi di Confindustria c'è quello di "rappresentare e tutelare il settore della produzione per i rapporti con le istituzioni". E chi l'ha detto che i rapporti debbano essere solo nel senso (giusto) di pretendere che le istituzioni funzionino? Rapporti in senso inverso, che caldeggiassero nuovi investimenti, tutelerebbero il settore ancora di più. Perciò confido in un grande discorso di Squinzi-Mosè al suo popolo.
riccardo.gallo@uniroma1.it