John Christensen, ex consulente del governo britannico, è un economista specializzato in temi fiscali e coordina dall’Inghilterra il segretariato internazionale di Tax Justice, un gruppo di ricercatori impegnati contro l’elusione fiscale globale.
Perché diverse multinazionali americane decidono di trasferire i loro profitti proprio in Irlanda?
«Perché gli accordi previsti dai trattati internazionali di quel Paese consentono loro di ridurre in maniera significativa l’effettiva aliquota fiscale fino a valori minimi, inferiori al 10 per cento dei profitti».
In che modo?
«Con un meccanismo di "transfer pricing". Semplificando al massimo, i profitti vengono trasferiti dall’Irlanda verso società con sede in paradisi fiscali quali le isole Cayman o Bermuda. I costi invece vengono attribuiti alle società nei Paesi con imposte più alte».
E il cosiddetto sistema "Double Irish"?
«Ci sono diversi meccanismi correlati che vengono utilizzati dalle multinazionali. Il "Double Irish" consiste nel far interagire fra loro due società costituite in Irlanda, una delle quali è però residente fiscalmente offshore, una possibilità che le norme garantiscono se il controllo e la gestione sono nel Paese dove paga le tasse. In questo modo vengono trasferiti, ad esempio, a Bermuda i profitti sullo sfruttamento dei diritti della proprietà intellettuale. Questo meccanismo può essere affinato grazie a un’ulteriore società del gruppo, registrata in Olanda. La legge irlandese, infatti, prevede specifiche esenzioni per il trasferimento delle royalty verso i paesi Ue».
A essere discussa, però, è anche la bassa imposta sul reddito societario, che in Irlanda è al 12,5 per cento: circa la metà di quella del Regno Unito (24) e ben al di sotto di quella americana (35) e di quella italiana (27,5 per cento per l’Ires più un altro 4,5 medio per l’Irap).
«Sì, ma in contesti simili l’aliquota teorica sui profitti è irrilevante, poichè grazie alle triangolazioni con i paradisi fiscali può scendere a zero».
Nel 2011 la Google Ireland Holdings era registrata presso uno studio legale di Dublino, lo stesso dichiarato da altri colossi del web. Anche all’indirizzo di Google a Bermuda risponde uno studio legale. Come si spiega?
«Gli avvocati svolgono un ruolo chiave nell’industria dell’elusione fiscale: creano le complesse strutture usate per trasferire offshore i profitti. Spesso agiscono come amministratori delle società, fornendo servizi ai clienti, che così gestiscono le loro strutture nei paradisi fiscali con uno staff minimo».
Google dice spesso di avere "un obbligo verso gli azionisti di predisporre una struttura fiscale efficiente".
«Non esiste alcun dovere legale di eludere le tasse per massimizzare i rendimenti nei confronti degli azionisti. Soprattutto se questo significa che gli amministratori sono costretti ad adottare misure che non sono pronti a rivelare a investitori e azionisti».
È possibile intervenire su questi sistemi?
«Sì. Sul piano globale, noi proponiamo degli standard internazionali di rendicontazione finanziaria che richiedano alle società di depositare i bilanci delle loro controllate su registri pubblici. Ciò aiuterebbe a rivelare informazioni sui conti e, quindi, anche a sapere quando i profitti vengano dirottati verso paradisi fiscali».
Ma non ci sono già delle norme in vigore?
«Le linee guida dell’Ocse sull’applicazione del cosiddetto metodo "arm’s length" - ovvero il fatto che le transazioni fra società correlate vengano condotte come se si trattasse di entità indipendenti, preservando l’interesse di entrambe - non sono adeguate. L’Europa deve agire il prima possibile ed evolvere verso un sistema di tassazione delle multinazionali basato sul "formulary apportionment" (un metodo che tiene conto dei fattori chiave per la produzione del reddito in ciascuna giurisdizione in cui ha sede una multinazionale e ripartisce i contributi fiscali a seconda dei paesi dove si produce più ricchezza, ndr)».
E, a livello nazionale, quali misure si potrebbero adottare?
«Gli Stati potrebbero richiedere a ogni multinazionale che fornisce servizi pubblici di presentare dei rapporti finanziari dettagliati, per dimostrare che non sono coinvolte nell’elusione. Tutti i Paesi dovrebbero poi adottare per legge un principio generale anti-elusione, così che ogni transazione finalizzata all’elusione venga esaminata sotto il profilo giudiziario e, ad esempio, revocata su ordine del giudice».