Dopo anni rampanti i conti sono in affanno. Ma partono prestiti per Verdini e Samorì. Bankitalia manda gli ispettori. E l'istituto replica: tutto regolare
I 7 milioni di euro prestati a
Denis Verdini? «La pratica del fido al coordinatore Pdl è stata gestita dalla sede di Roma». Gianpiero Samorì, leader del Mir, neonato partito alleato con Berlusconi? «È un vecchio cliente». E poi ci sarebbero anche i prestiti a suo tempo elargiti al gruppo Acqua Marcia (ora sull’orlo del crac) di Francesco Bellavista Caltagirone, amico dell’ex ministro Claudio Scajola. «Tutto nella norma», assicura Vincenzo Consoli, l’amministratore delegato che da quindici anni governa Veneto Banca. Consoli proprio non ci sta a farsi la fama di banchiere amico del centrodestra. E a chi gli chiede dei rapporti con imprenditori e politici di area berlusconiana risponde che non c’è niente di strano. Quelle sono operazioni come le altre. Nessuna corsia preferenziale, quindi. Su questo aspetto, così come più in generale sulla politica dei crediti dell’istituto, il verdetto finale arriverà da Bankitalia.
Nel novembre scorso la Vigilanza ha inviato i suoi ispettori nella sede di Montebelluna. Controlli e verifiche non si sono ancora conclusi. Il rischio, per Veneto Banca, è quello di veder sfumare l’immagine di istituto cooperativo vicino al territorio, ai piccoli imprenditori, agli artigiani. Un’immagine costruita con spasmodica attenzione da Consoli negli anni in cui il suo istituto è cresciuto a passo di carica, un’acquisizione dietro l’altra fino a raggiungere la top ten nella graduatoria delle banche più grandi d’Italia, forte di quasi 600 filiali (più della metà tra la Lombardia e il Triveneto), oltre 6 mila dipendenti e attività in bilancio per 42 miliardi. Nel 1997, quando Consoli prese il comando, la vecchia Popolare di Asolo e Montebelluna, poi ribattezzata Veneto Banca, contava su una cinquantina di sportelli appena. Difficile continuare con quel ritmo. E infatti la corsa si è infine esaurita. «È giunta l’ora di consolidare», ha saggiamente aggiustato la rotta l’amministratore delegato un paio di anni fa. Solo che nel frattempo è esplosa la crisi finanziaria, seguita da una recessione pesantissima che ha messo a dura prova quel tessuto di piccole imprese che rappresentano la clientela naturale dell’istituto trevigiano.
La gelata economica ha lasciato ferite evidenti in bilancio. I crediti a rischio ammontavano nel 2008 a 317 milioni, il 3,75 per cento del totale degli impieghi. A giugno del 2012 la quota dei prestiti di dubbia esigibilità era cresciuta fino all’8,6 per cento. L’acquisizione di istituti in grave difficoltà come la Cassa di Fabriano (Carifac) e Banca Apulia ha contribuito a peggiorare la situazione. Sta di fatto che nell’ultima semestrale (giugno 2012) Consoli non ha potuto fare a meno di aumentare del 26 per cento gli accantonamenti a copertura delle possibili perdite su crediti. Per di più sul bilancio pesano 1,1 miliardi di avviamenti (su 2,9 miliardi di mezzi propri) frutto della campagna acquisti condotta a prezzi ben distanti da quelli correnti. Altri istituti di recente hanno dato un taglio agli avviamenti per adeguarsi alla situazione di mercato facendosi carico delle conseguenti pesanti perdite. Veneto Banca invece no. «In base alla normativa vigente non vi è stata necessità di intervenire», spiegano. Anche senza svalutazioni, però, il conto economico vola decisamente più basso rispetto agli anni del boom, ma Consoli, a differenza della quasi totalità dei suoi colleghi banchieri, fa professione d’ottimismo.
«Abbiamo chiuso un buon primo semestre soprattutto perché il risultato è frutto della sola gestione ordinaria», ha dichiarato il manager a fine agosto scorso, quando sono stati diffusi i dati semestrali. Già, la gestione ordinaria. Dipende da che cosa s’intende per “ordinario”. Veneto Banca, per dire, tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 ha fatto il pieno di liquidità prendendo a prestito dalla Banca centrale europea (Bce) oltre 4 miliardi a tassi bassissimi. Gran parte di questa somma è stata utilizzata per acquistare titoli di Stato a loro volta impiegati per operazioni di pronti termine. In una fase di magra della raccolta da clientela, queste manovre sono quasi una mossa obbligata. Solo una minima parte della liquidità fornita dalla Bce è andata a finire alle imprese sotto forma di prestiti. A conti fatti è stata proprio la finanza straordinaria a sostenere il conto economico, visto che nel 2012 la metà dei profitti semestrali arriva da plusvalenze realizzate con la vendita di titoli in portafoglio e grazie al riacquisto di proprie passività. Anche nel 2011 a salvare il bilancio non era stata la gestione ordinaria, ma una maxi operazione di “affrancamento fiscale” che fruttò quasi 110 milioni di euro su 160 milioni di profitti dichiarati.
Il guaio è che la luce in fondo al tunnel ancora non si vede. Di ripresa economica neppure l’ombra e le famiglie non portano i soldi in banca, né tantomeno investono, per la semplice ragione che di soldi non ne hanno. Per rastrellare liquidità, pochi giorni fa Veneto Banca è tornata sul mercato con il collocamento di un prestito obbligazionario convertibile per un importo massimo di 350 milioni. Dal prospetto informativo dell’operazione emergono alcune notizie interessanti. Si scopre per esempio che il valore di mercato dell’istituto di Montebelluna sarebbe di gran lunga superiore a quello di istituti quotati in Borsa che vantano attivi di bilancio ben più rilevanti.
Un paio di esempi: a Veneto Banca è attribuito un valore di 3,9 miliardi, più del doppio rispetto alla capitalizzazione di Borsa di Banca Carige (1,7 miliardi). Eppure quest’ultima dispone di attività per 47 miliardi, contro i 42 miliardi dichiarati dall’istituto guidato da Consoli. Perfino Ubi Banca con i suoi 132 miliardi di attività avrebbe un valore inferiore a quello del concorrente veneto: 3,3 miliardi contro 3,9.
Possibile? Da Montebelluna rispondono che «le popolari non quotate hanno sempre valori medi, che non riflettono la volatilità dei mercati azionari». Va segnalato che in mancanza di un mercato vero e proprio il prezzo dei titoli Veneto Banca viene fissato di anno in anno dallo stesso istituto di credito sulla base delle indicazioni di un “esperto indipendente”. Il valore è così passato dai 14,04 euro del 1997 ai 40,25 della primavera scorsa. Fino al 2010 l’incarico di valutatore è stato attribuito a Roberto Ruozi, già rettore dell’Università Bocconi. Nell’aprile 2010 Ruozi è finito a libro paga di Veneto Banca come presidente della controllata Banca Intermobilare. Al suo posto è arrivato Stefano Zorzoli, un altro professore bocconiano. Che cosa faceva Zorzoli fino a settembre del 2010? Anche lui, tra i tanti incarichi, lavorava per Veneto Banca come consigliere della Popolare di Monza e Brianza, un altro istituto del gruppo. Conflitto d’interessi? Sulla carta è tutto regolare. Difficile non notare che nella banca di Consoli funziona a meraviglia un sistema di porte girevoli. Con i professionisti indipendenti che diventano amministratori. E viceversa.