L’operazione finanziaria realizzata con la giapponese Nomura torna a tormentare i destini dell'istituto bancario senese. Che, con il placet di Consob e Bankitalia, voleva rinviarne le perdite. Ma la Bce ha detto no

Alessandro Profumo, presidente del Monte dei Paschi di Siena
Nei risultati degli stress test europei che hanno condannato il Monte dei Paschi di Siena a una dura sfida per la sopravvivenza, c’è un passaggio che mette in difficoltà le autorità che vigilano sul sistema bancario italiano. Si tratta di una frase di appena sedici parole, che sconfessa le scelte condivise negli ultimi due anni dalla Banca d’Italia e dalla Consob su uno degli aspetti più controversi del percorso compiuto dall’istituto senese per uscire dalla crisi in cui l’aveva condotta la gestione dell’ex presidente Giuseppe Mussari.

Banche
Operazione Alexandria, radiografia di un derivato
13/11/2014
Per i non addetti ai lavori, il passaggio in questione può apparire un po’ criptico: «The Nomura transaction is being treated as a derivative for the purpose of the comprehensive assessment», dice in inglese. Ovvero: l’operazione finanziaria realizzata dal Monte con la banca giapponese Nomura, nota ai più con il nome di Alexandria, «viene trattata come un derivato» ai fini della valutazione globale effettuata dalla Banca Centrale Europea (Bce) sui principali gruppi bancari dell’Eurozona.

Sembra una questione tecnica. Ma su Alexandria si è giocata in questi anni una partita molto più ampia, che riguarda non soltanto la vecchia gestione, ma anche quella nuova. Il contratto è stato al centro del processo del tribunale di Siena costato a Mussari e ad altri dirigenti una condanna in primo grado per ostacolo alla vigilanza. Perché sarebbe proprio su Alexandria, oltre che su un’operazione analoga chiamata Santorini, che i banchieri del vecchio Monte avrebbero nascosto le informazioni necessarie per far capire all’esterno i rischi effettivi che la banca stava correndo. Ma anche per i nuovi vertici dell’istituto, il presidente Alessandro Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola, il contratto sottoscritto con Nomura dai predecessori ha rappresentato un problema non da poco, trasformandosi in una specie di spettro impossibile da mettere in fuga e, allo stesso tempo, capace di minacciare la stabilità della banca.

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Definirlo un derivato, rischiava di avere un impatto negativo sul capitale che agli istituti è richiesto conservare a tutela della loro solidità patrimoniale. Un impatto tale da richiedere una ricapitalizzazione più cospicua di quella già elevata - 5 miliardi di euro - effettuata la scorsa primavera, quando il vecchio azionista Fondazione Mps ha perso di fatto il controllo della banca, riducendo la propria partecipazione a un piccolo 2,5 per cento. Di qui la scelta, condivisa da un tavolo tecnico a cui hanno partecipato Banca d’Italia e Consob, di metterla a bilancio con una diversa definizione, che rinvia al futuro - e magari a una situazione dei mercati più favorevole - il calcolo dell’impatto di Alexandria in bilancio.

Questa premura, però, non è bastata. Nei test condotti a fine ottobre, infatti, la Bce di Mario Draghi e la European Banking Authority, guidata anch’essa da un italiano, Andrea Enria, hanno fatto una valutazione diversa: Alexandria va trattato «come un derivato». E hanno costretto il Monte a lanciare un ulteriore aumento di capitale, che sarà di 2,5 miliardi e che rischia di risultare decisivo per i futuri assetti della banca: «È forse arrivato il momento che un investitore aggressivo proponga uno spezzatino», ha scritto il “Financial Times”, commentando il crollo del titolo in Borsa e definendo il possibile esito «la definitiva umiliazione» per i cittadini di Siena, un tempo legatissimi alla banca che manteneva l’intera provincia con i suoi profitti.

Alexandria, però, non è semplicemente una delle operazioni in perdita che hanno minato la solidità del Monte negli anni passati. Quando la sua esistenza diventò di dominio pubblico, nel gennaio 2013, le indagini della procura di Siena sugli anni di Mussari entrarono nel vivo. Portarono al processo concluso lo scorso 31 ottobre e diedero vita a un secondo filone d’indagini, condotto proprio in queste settimane dalla Procura di Milano, per un’altra ipotesi di reato, l’aggiotaggio.

Da allora, nel grande pubblico, si è cristallizzata l’immagine del decisivo ritrovamento - avvenuto il 10 ottobre 2012 - di un patto segreto custodito in cassaforte tra il Monte e Nomura, chiamato “mandate of agreement”, che rendeva particolarmente devastanti le clausole di una serie di contratti già noti ai successori di Mussari e alle autorità di vigilanza, determinando forti perdite per il Monte.

In realtà, durante il processo di Siena, è stato depositato in tribunale un gran numero di carte, che rendono la ricostruzione iniziale molto più articolata. E che, a un’attenta lettura, mostrano come il dilemma sulla vera natura di Alexandria fosse già stato affrontato dalla Banca d’Italia mesi prima che il patto segreto saltasse fuori dalla cassaforte di Rocca Salimbeni, come si chiama il quartier generale del Monte. Con una valutazione che, alla luce di quanto avvenuto ora con gli stress test, appare piuttosto sorprendente: Alexandria è un derivato, esattamente come lo considera la Bce.

Il 17 aprile 2012, sei mesi prima che venisse alla luce il cosiddetto “mandate”, gli ispettori della Banca d’Italia firmano infatti una relazione di 16 pagine che viene inviata alla Consob, a cui spetta il giudizio sulla correttezza dei bilanci delle società quotate. Il rapporto è il frutto di quasi sei mesi d’indagini, servite a analizzare gran parte delle operazioni che finiranno poi all’attenzione della magistratura. E su Alexandria la conclusione è lapidaria: «L’operazione nel suo complesso si sostanzia in un derivato creditizio», si dice a pagina 13, dove la questione del perché il Monte non lo definisse come tale era già posta: le perdite sarebbero immediatamente confluite «tra le minusvalenze da rilevare a conto economico». Portando alla luce quanto negativa fosse la gestione di Mussari.

Che cosa è successo da allora? E perché la valutazione iniziale espressa dalla Banca d’Italia è cambiata, almeno fino alla sterzata che gli stress test della Bce sembrano prefigurare? La risposta più completa si trova forse in una nota tecnica compilata dalla Consob un anno più tardi, al fine di procedere alla «correzione di errori commessi» nei bilanci del Monte. La Banca d’Italia, guidata da Ignazio Visco, aveva infatti demandato la questione alla commissione presieduta da Giuseppe Vegas, che a sua volta si affida al già citato tavolo tecnico con le altre autorità (c’è anche l’Ivass, che vigila sulle assicurazioni). Il risultato è un documento molto lungo, che di fatto avvalora la decisione di Profumo e di Viola di mantenere tutte le diverse componenti finanziarie di Alexandria con una loro specifica appostazione in bilancio, e non come un unico derivato. La Consob cita le varie ragioni che la banca adduce per motivare la propria scelta, nonché i pareri prodotti da alcuni consulenti. Un motivo molto stringente, però, si può leggere in controluce a pagina 57 della nota: a fine 2012 qualificare Alexandria e l’omologo Santorini come derivati avrebbe avuto un impatto negativo sul patrimonio del Monte di circa 2 miliardi.

Da allora, molto è stato fatto. Il Monte è riuscito a chiudere Santorini con una transazione con la controparte (in quel caso Deutsche Bank), che ha causato una perdita di 287 milioni. E va detto che Bce e Eba, nei risultati degli stress test, si guardano bene dal dire che il bilancio è scorretto. Anzi: notano che in uno specifico allegato, compilato a fine 2013 su richiesta del tavolo tecnico, l’istituto ha provveduto a fornire una sorta di contabilità pro-forma, ovvero a ipotizzare come sarebbe stato il bilancio considerando Alexandria come un derivato. Per sanare definitivamente la situazione, e cancellare ogni imbarazzo, serve però l’aumento di capitale da 2,5 miliardi, che la banca ha voluto più ampio di quanto richiesto da Draghi (che si era fermato a 2,1 miliardi) per restituire interamente gli aiuti di Stato ricevuti. E per cancellare, si spera, l’umiliazione subita dai senesi.