A Trieste, su 10mila ricercatori oltre la metà viene dall'estero. E in tutta la regione fioriscono distretti e aziende che puntano sull'innovazione

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Cinque inverni nella fredda Chicago non sono bastati a prepararla. «La bora? Non me l’aspettavo così micidiale», sorride l’americana Alissa Ferry, 32enne ricercatrice della Sissa, la Scuola Internazionale di Studi Avanzati, fra i più quotati centri di ricerca al mondo per lo studio di Fisica, Matematica e Neuroscienze.

Alissa viene dalla Pennsylvania ed è arrivata in Friuli Venezia Giulia quattro anni fa per un post dottorato in scienze cognitive. «Cerco di capire come fa il cervello ad immagazzinare il linguaggio», dice lei, che alla Sissa lavora al fianco di 537 colleghi in un parco scientifico che si affaccia sul golfo di Trieste. Mastica poche parole d’italiano, ma non è un problema: «In aula o al celebre Caffè degli Specchi si parla inglese, perché qui c’è un’infinità di centri di ricerca d’eccellenza e scienziati di tutto il mondo fanno a gara per ottenere una cattedra, una borsa di studio», racconta.

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Oltre metà dei 10.420 ricercatori che studiano e lavorano nei 35 poli scientifici della città proviene da un diverso angolo del mondo e uno studente su 10 viene dall’estero, ben al di sopra del 3,3 per cento della media nazionale. Se Trieste è l’avamposto della ricerca, a buon diritto l’intero Friuli Venezia Giulia può fregiarsi del titolo di regione della conoscenza.

Perché Udine è il luogo del trasferimento tecnologico dalle aule universitarie all’industria, Pordenone vanta poli all’avanguardia incastonati in multinazionali strategiche e a Monfalcone (Gorizia) c’è un fiorente distretto delle tecnologie marittime, con 8.500 addetti, trainato dal colosso Fincantieri: 2.440 dipendenti diretti e un altro migliaio in un indotto di oltre 400 imprese.

Mentre svapora la nebbia della crisi, si fa più nitido l’avvento di una regione frontiera dell’innovazione, che punta a diventare centro della nuova Mitteleuropa e incarna il sogno italiano: una forte manifattura capace di dialogare con il mondo. «Il quadro è in evoluzione, ci sono nuove iniziative imprenditoriali di grande potenzialità che prendono il posto di stanchi settori industriali in declino», spiega l’economista Cristiana Compagno, ex rettore dell’Università di Udine e attuale presidente della Banca Mediocredito Fvg.

Rifacendosi alle statistiche della Commissione Europea, l’esperta racconta che il 38 per cento delle imprese della regione ha all’interno reparti di innovazione, contro il 33,5 della media nazionale. Più marcati che altrove gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo, mentre i settori a media e alta tecnologia contribuiscono alla creazione del 14 per cento della ricchezza regionale, quando la nazione si ferma al 7,5.

In futuro potrebbe andare anche meglio, se cluster strategici come quello del Bio High Tech, specializzato nel biomedicale, biotecnologico e bioinformatico, riusciranno davvero a portare la forza lavoro da 5 a 7 mila addetti. «Il distretto raduna 150 imprese, che si estendono da Trieste a Gorizia e si occupano di migliorare la qualità della vita sul fronte medico, alimentare, sociale. È una sfida per una regione come la nostra, dove il 30 per cento della popolazione è over 70», spiega Diego Bravar, presidente di Tbs Group e vice presidente di Confindustria Friuli Venezia Giulia. Il cluster, nato nel 2005, genera un fatturato annuo di 700 milioni e non ha mai risentito della crisi.

Ne fanno parte aziende figlie dei 35 poli scientifici locali, una calamita per 7 mila ricercatori e 6 mila esperti che ogni anno vengono a visitarli. Dal felice connubio nascono realtà come l’udinese Lima, 145 milioni di ricavi, leader mondiale nella produzione di protesi per ginocchia e gomiti, o la stessa Tbs, nata da un progetto del Cnr per iniettare una dose di rinnovamento negli ospedali della zona. Bravar è un ingegnere specializzato nella manutenzione di apparecchiature mediche e produzione di software medicali. In una ventina di anni la sua impresa ha assunto 2.400 dipendenti, 65 per cento italiani, e oggi opera in 20 Paesi con un giro d’affari di 230 milioni.

Particolarmente strategico per il distretto della “Salute Intelligente”, così è stato ribattezzato, è l’Icgeb, il centro internazionale per l’ingegneria genetica e la biotecnologia, dove si cerca un vaccino contro l’Hiv. È stato costituito nel 1987 dalle Nazioni Unite per dare la possibilità a scienziati di tutto il mondo di accedere ai laboratori e fare ricerca di alto livello. L’istituto ha 15 gruppi di indagine, 800 ricercatori e accoglie 9 mila scienziati l’anno provenienti da 25 Paesi: «Il mandato del centro è usare le biotecnologie a beneficio dello sviluppo internazionale. Ora stiamo concentrando le nostre energie sulla rigenerazione del cuore dopo un infarto, mentre nelle sedi di New Delhi e Cape Town facciamo indagini di tipo agricolo e immunologico», spiega il direttore Mauro Giacca.

L’Icgeb si trova all’interno di Area Science Park, parco scientifico con 2.500 dipendenti e 95 centri di ricerca e sviluppo, come quello della multinazionale farmaceutica Bracco. Il parco nasce per creare aziende a partire da un’idea: 1.500 progetti ambiscono a diventare industrie e qui possono trovare terreno fertile.

All’interno dell’area si trovano grandi istituti di rilievo mondiale, come Elettra Sincrotrone, una copia dell’acceleratore di particelle del Cern, voluto dal goriziano e premio Nobel per la Fisica Carlo Rubbia. Il sincrotrone serve a fare esperimenti, dallo studio dei grassi alimentari alla durata delle batterie al grafene per gli smartphone.

Sempre lì alloggia l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e l’Ictp, il Centro internazionale di fisica teorica, creato per sostenere la scienza nei Paesi in via di sviluppo. Nel centro operano 230 persone e le conferenze di fisica attirano ogni anno 6 mila scienziati provenienti da 190 nazioni. «Ci occupiamo di calcolo predittivo, analisi teoriche e, su richiesta dei Paesi in via di sviluppo, sviluppiamo competenze nel fotovoltaico, rinnovabili, scienze della vita, bioinformatica», dice Sandro Scandolo, capo dell’Ictp.

Il centro è dedicato al premio Nobel Abdus Salam, pakistano padre della teoria delle particelle. Nei Sessanta volle dare un’opportunità ad altri scienziati come lui, provenienti da paesi poveri, e scelse di stabilire il suo istituto proprio a Trieste. Il che rese la città uno dei pochi luoghi al mondo prima della caduta del Muro in cui sovietici e americani potevano incontrarsi e confrontarsi.

Riccardo Illy, già presidente della Regione e numero uno del gruppo Illy, colosso da 400 milioni di ricavi, parecchio dedito all’esportazione, racconta come dopo la Seconda Guerra Mondiale Trieste si ritrovò amputata dei suoi territori, ceduti ai Paesi comunisti limitrofi e dovette convivere con la cortina di ferro, piazzata a un chilometro e mezzo di distanza. «Come compensazione lo Stato italiano sostenne tutte le richieste del fisico Paolo Budinich, che aveva proposto di far fiorire tanti parchi scientifici, fra cui l’Istituto nazionale di Oceanografia, e rilanciare quelli esistenti, come l’Osservatorio astronomico di Trieste diretto da Margherita Hack», spiega Illy. «Pur essendo una regione piccola, il Friuli Venezia Giulia è sede di grandi multinazionali: le Generali, le Officine Danieli, Electrolux a Pordenone. Perché è una regione di emigranti e immigrati di ritorno, che hanno riportato a casa un grande spirito internazionale, assorbito dagli imprenditori di qui, che considerano il mondo il loro mercato di riferimento».

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In scia al dinamismo triestino, si è messa a pedalare Udine: negli anni Settanta ha creato l’università e subito dopo Friuli Innovazione per il trasferimento tecnologico. Il polo ha salvato decine di piccole imprese del distretto della sedia, grazie a soluzioni di design e materiali innovativi.

Sette anni fa, inoltre, è stato il comune di Tavagnacco, alle porte di Udine, a creare Ditedi, distretto delle tecnologie digitali. «Qui sono nate spontaneamente 120 micro imprese che operano in settori legati all’informatica. Alcune sono diventate multinazionali tascabili, come Eurotech, una delle poche aziende al mondo che realizza i super calcolatori», dice Mario Pezzetta, ex sindaco del paese e presidente del distretto. Ditedi sta realizzando un processo di digitalizzazione dei servizi della Pubblica Amministrazione e sta trasformando le tradizionali industrie metalmeccaniche in manifatture 4.0: un concentrato di sensori e microchip, big data e connessioni. «Udine incarna il tentativo di avvicinare la ricerca alle imprese. Le grandi industrie hanno rapporti sempre più intensi con scuole e università, per ridurre il divario troppo evidente tra lavoro e formazione», dice Tommaso Cerno, direttore del quotidiano “Messaggero Veneto”.

Sempre qui ha sede il gruppo Snaidero, leader dell’arredo con 800 collaboratori e 130 milioni di ricavi, che ha creato nove anni fa la Rino Snaidero Scientific Foundation per generare nuove idee come Touch Kitchen, una cucina intelligente che controlla e informa sui consumi energetici, idrici e sprechi, rileva temperatura e umidità e cattivi odori. «Dopo un periodo caratterizzato da trend negativi gli indicatori economici del Friuli volgono al bello. Anche per Snaidero gli ordini sono in crescita del 15 per cento e il dato fresco è la ripresa del mercato italiano», dice Edi Snaidero, presidente dell’azienda.

La provincia di Pordenone ha formato un tessuto coeso di medie imprese che gravitano attorno all’industria del bianco, mentre quella di Gorizia è in cerca di una propria identità. Dal 2004, quando la Slovenia è entrata nell’area Schengen, sono sfumate tutte le attività legate a frontiera, dogana, imprese di autotrasporto. Una possibile svolta potrebbe venire dal “distretto del mare” e dallo sviluppo della logistica funzionale al porto del capoluogo giuliano: «Trieste era l’unico accesso al mare ai tempi dell’Impero austro-ungarico e per questo possedeva un grande porto ferroviario», interviene Paolo Possamai, direttore del quotidiano “Il Piccolo”: «Dopo anni di difficoltà, negli ultimi sei mesi si è riacceso il dialogo con le nazioni del Centro e dell’Est Europa, facendo rinascere la potenza logistica e portuale della città. Così Trieste tornerebbe al ruolo di cerniera tra l’Est e l’Ovest che ha sempre avuto».

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