La supplenza dell’Istituto fu resa necessaria dalla grande crisi degli anni Trenta ed ebbe la sua stagione migliore durante il «miracolo economico». Poi il declino a partire dagli anni Settanta. Ma davvero non restava altra strada ?che la soppressione?

Il varo di una nave da crociera di Fincantieri negli anni 90
Forse è venuto il momento di ripristinare un’espressione caduta in disuso da tempo, quella di «economia mista», se si vuole comprendere ciò che è successo negli ultimi due decenni all’Italia economica e industriale, caratterizzata dalla scomparsa di alcune delle sue imprese maggiori ?e dalla riluttanza alla crescita. È questa la conclusione a cui conduce il libro, denso e importante, che Pierluigi Ciocca ha dedicato a “L’Iri nell’economia italiana” (edito da Laterza, 338 pagine, 35 euro), ultimo di un’ampia e impegnativa “Storia dell’Iri” in sei volumi.

Ciocca, che ha ricoperto alte responsabilità nella Banca d’Italia, è stato fra i primi a indicare, oltre dieci anni fa, come l’Italia fosse afflitta da ?un «problema di crescita», ponendo ?in dubbio la sua capacità di riprodurre ?le basi della propria ricchezza. Nel suo nuovo libro, incentrato sulla presenza ?e il ruolo del polo pubblico, offre un’analisi articolata, che mostra come ?il nostro Paese abbia progressivamente smarrito la peculiarità del proprio modello di sviluppo.

Al suo centro c’era stata l’esperienza di un’economia mista, che aveva saputo garantire dinamismo alle imprese italiane. L’interazione continua fra ?il polo pubblico e gli interessi privati ?era riuscita a vincere le strozzature ?e gli ostacoli che pure gravavano sulla struttura economica della nazione.
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La ricostruzione di Ciocca ripercorre ?di fatto l’intero arco del nostro sviluppo economico, mettendo in luce come ?la coesistenza dinamica fra pubblico e privato sia stata una costante di lungo termine del sistema. «Quella dell’Iri», scrive Ciocca, «è la storia dell’incapacità della zona alta del capitalismo italiano di farsi carico del progresso economico del Paese, stando nel mercato con successo in piena autonomia imprenditoriale e finanziaria».

La supplenza dell’Iri fu resa necessaria dalla grande crisi degli anni Trenta ed ebbe la sua stagione migliore durante il «miracolo economico». Conobbe invece il declino a partire dagli anni Settanta, quando l’industria italiana non seppe reagire adeguatamente alla crisi internazionale, per finire col ripiegare ?a causa dei limiti della sua dirigenza ?e dall’azione invasiva di una classe politica miope davanti ai nodi dell’economia.

Così com’era, l’Iri non poteva evidentemente proseguire il suo corso. Ma di fronte al suo decadimento, davvero non restava altra strada ?che la soppressione? Se l’Iri aveva rappresentato una leva fondamentale della trasformazione economica, non ?si potevano riformarne la natura e il funzionamento? Estinguendo il nucleo originale dell’impresa pubblica, l’Italia ha frettolosamente rinunciato al modello che l’aveva portata a entrare nel novero delle nazioni ricche, per approdare disarmata all’epoca della globalizzazione. Ha così assistito ?alla caduta delle dimensioni e della produttività delle sue imprese, che ?non hanno più recuperato lo slancio ?di un tempo. Il loro dinamismo si è appannato, il processo di crescita dimensionale si è interrotto, al pari della loro attitudine a innovare. Ne è derivata la stagnazione, in luogo della crescita che ci si aspettava.

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