Nella relazione annuale, il governatore punta il dito sulla scarsa innovazione da parte delle imprese e sulle riforme da accelerare: "Segnali positivi sul lavoro ma c'è il rischio che il risveglio del mercato non basti"

La ripresa economica non è più un auspicio, è una realtà. È questo il messaggio che viene dal governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, durante l'assemblea dell'istituto, in corso questa mattina a Roma. «Anche in Italia, pur in un quadro più debole di quello dell'area dell'euro, si è avviata la ripresa», ha detto Visco. Questi i segnali che lo confermano: «l'accelerazione delle esportazioni» a cui si accompagna «un recupero della domanda interna»; il «rialzo della spesa delle famiglie, soprattutto per beni durevoli, anche grazie alle migliori prospettive del reddito disponibile»; la «dinamica degli investimenti tornata positiva» che, a seconda delle valutazioni delle imprese, «potrà rafforzarsi nel corso dell'anno».

Visco ha ricordato che l'aumento del Pil nel corso del primo trimestre del 2015 - cresciuto dello 0,3 per cento rispetto al trimestre precedente, ma ancora invariato rispetto al periodo gennaio-marzo del 2014, stando alle prime stime dell'Istat - è un fattore positivo in quanto «interrompe una lunga fase ciclica sfavorevole» e perché dovrebbe proseguire «nel trimestre in corso e in quelli successivi». Il giudizio del governatore, tuttavia, resta molto cauto, sia per il contesto generale, segnato dal rallentamento dei Paesi emergenti, che in questi anni hanno assorbito una fetta crescente delle esportazioni, sia per i problemi strutturali dell'economia e delle imprese italiane. «Il ritorno a una crescita stabile, tale da offrire nuove prospettive di lavoro, richiede che prosegua lo sforzo di innovazione necessario per adeguarsi alle nuove tecnologie e alla competizione globale», ha detto Visco.
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Anche qui, segnali positivi ce ne sono già stati, già dal 2014, ma bisogna fare molto di più: «I risultati delle imprese efficienti, che hanno aumentato le vendite sui mercati esteri, investito e realizzato innovazioni, contrastano con quelli di una parte considerevole del sistema produttivo, caratterizzato da una scarsa propensione a innovare e da strutture organizzative e gestionali più tradizionali», ha sottolineato Visco, ricordando il ritardo rispetto alla Germania - che resta in questo senso la locomotiva europea: «È molto inferiore, per le imprese italiane, la capacità di svolgere attività di ricerca e sviluppo al loro interno e di collaborare con università e altre istituzioni di alta formazione».

C'è poi la questione, sentitissima politicamente delle regole del lavoro, del Jobs Act e delle agevolazioni alle nuove assunzioni arrivate con la legge di stabilità, che non potevano non guadagnarsi un'esplicita citazione da parte del governatore: «I recenti provvedimenti di riforma del mercato del lavoro hanno esteso i meccanismi di sostegno del reddito dei disoccupati e ridotto, per i nuovi contratti, il disincentivo alle assunzioni a tempo indeterminato, connesso con l'incertezza sugli esiti della risoluzione dei rapporti di lavoro», ha detto Visco. È certamente troppo presto per dare una valutazione definitiva delle nuove norme, ha spiegato il governatore, vista la debolezza del mercato del lavoro: «La dinamica dell'occupazione riflette ancora la debolezza della domanda e gli ampi margini di capacità produttiva inutilizzata». Tuttavia, qualche segnale positivo viene colto anche in questo caso: «La forte espansione delle assunzioni a tempo indeterminato nei primi mesi del 2015, favorita anche dai consistenti sgravi fiscali in vigore da gennaio, è un segnale positivo; suggerisce che con il consolidarsi della ripresa l'occupazione potrà crescere e orientarsi verso forme più stabili», ha detto Visco.

Per l'immediato futuro, tuttavia, va affrontata una serie di gravi problemi, che rischiano di ripercuotersi sulle prospettive di crescita dell'intero Paese. Uno è ad esempio rappresentato dall'arretratezza di molte imprese, soprattutto nel Mezzogiorno, dato che la «domanda di lavoro da parte delle imprese più innovative potrebbe non bastare a riassorbire la disoccupazione nel breve periodo». Un altro è l'incapacità e l'eccessiva burocratizzazione della pubblica amministrazione, il cui rinnovamento – avviato dal governo Renzi - «è anche la condizione per attuare processi di revisione della spesa pubblica che salvaguardino e potenzino la qualità dei servizi». Infine c'è la questione, drammatica, del debito pubblico: «Dall'inizio della crisi finanziaria l'incidenza del debito sul prodotto è salita di oltre 30 punti percentuali, al 132 per cento, soprattutto a causa della mancata crescita economica. Il ritorno a livelli più elevati di crescita del reddito, insieme a una politica di bilancio ancora prudente, consentirà di avviare una rapida riduzione del rapporto tra debito e prodotto». Un chiaro invito al governo a non mollare la presa e ad andare avanti con le riforme.  

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