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Nata come costola dell'Eni ai tempi di Enrico Mattei, la Saipem negli anni ha costruito in giro per il mondo decine di raffinerie, impianti petrolchimici, oleodotti e gasdotti. Una capacità tecnologica così sviluppata che, secondo alcuni osservatori, anche la Russia di Vladimir Putin ci ha messo gli occhi addosso ora che l'azienda è in difficoltà. I problemi dipendono dal calo del greggio, ripetono da tempo i vertici del gruppo. Ma è una verità parziale.
I conti economici dimostrano che la crisi è iniziata ben prima del crollo del petrolio, e le cause sono da ricercare in alcune commesse i cui margini di guadagno sono stati gonfiati dagli stessi manager: “l'Espresso” ne dà conto rivelando alcuni particolari inediti, come i margini di guadagno gonfiati per 200 milioni di euro in un grande appalto da realizzare in Kuwait. L'inchiesta racconta di come la multinazionale italiana sia passata da guadagnare a perdere centinaia di milioni di euro nel giro di un solo anno, dal 2012 al 2013, dopo che i magistrati della Procura di Milano hanno ipotizzato il pagamento di tangenti per alcuni lavori da svolgere in Algeria. Un buco che si è aperto e che da allora non ha fatto che allargarsi. A pagare di più finora sono stati gli azionisti della Saipem, che per questo hanno fatto causa all'azienda, ma non i manager che allora la guidavano. Anzi: proprio grazie alla crescita straordinaria dei margini di guadagno, loro hanno incassato bonus da record.
Per il colosso ingegneristico italiano i guai potrebbero non essere finiti qui. La società continua ad essere monitorata dalla Consob. La Procura di Milano ha aperto un’inchiesta contro ignoti per insider trading e aggiotaggio. La magistratura brasiliana sta controllando alcuni contratti firmati con la Petrobras. E le svalutazioni potrebbero proseguire, visto che il gruppo a fine luglio ha detto di aver in bilancio ancora 800 milioni di euro di “pending revenues”, cioè ricavi che non sa se riuscirà ad incassare.
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