La decisione della Fed di non alzare i tassi? Una buona notizia per l'Italia. E' questo il giudizio piuttosto unanime degli esperti sentiti da “l'Espresso”, almeno se si guardano gli effetti a breve termine dell'annuncio dato ieri (17 settembre) dalla Federal Reserve, la banca centrale americana.
La scelta era attesa da giorni con trepidazione dai mercati finanziari di tutto il mondo. Il dollaro è la moneta più usata a livello globale e un aumento del costo del biglietto verde (dal tasso di interesse dipende il prezzo a cui la Fed offre i soldi alle banche americane, le quali poi li prestano a imprese e cittadini) avrebbe avuto conseguenze in ogni angolo del pianeta, non solo sulle borse ma anche sull'economia delle varie nazioni. Una decisione cruciale, dunque, quella che ha dovuto prendere la governatrice Janet Yellen, prima donna della storia a guidare il forziere americano.
L'economista di Brooklyn, 69 anni, eletta a capo della Fed un anno e mezzo fa, ha scelto per ora di non cambiare la politica monetaria a stelle e strisce. I tassi d'interesse della Fed resteranno dunque vicinissimi allo zero per cento almeno fino ad ottobre (data della prossima riunione della Fed), lo stesso livello a cui sono stati tenuti dal 2009 a oggi per cercare di ridare fiato all'economia americana dopo lo scoppio della bolla dei mutui subprime. Ma quali sono gli effetti della decisione per l'Italia?
I fattori da tenere in considerazione sono soprattutto tre: il valore dell'euro, il prezzo del petrolio, gli interessi da pagare sul debito pubblico. Sono le componenti che negli ultimi mesi hanno dato una spinta all'economia tricolore e stabilizzato la finanza pubblica. L'euro basso rispetto alle principali valute mondiali ha permesso alle aziende nostrane di aumentare le esportazioni. Pure il petrolio, che da quasi un anno viaggia a prezzi molto contenuti, si è rivelato un vantaggio per le industrie nazionali, che così spendono poco per rifornirsi di energia. Infine i tassi sul debito pubblico, calati sensibilmente rispetto ai livelli da record del 2011, stanno permettendo al governo di finanziare la spesa senza scucire una fortuna in interessi.
La decisione della Fed dovrebbe mantenere invariate tutte queste condizioni. Cosa sarebbe successo se la Yellen avesse deciso diversamente? Secondo Sergio Capaldi, economista di Intesa Sanpaolo, per l'Italia l'effetto più pericoloso sarebbe stato un calo delle vendite all'estero: «I mercati finanziari in questo momento temono che l'economia cinese rallenti troppo. Un rialzo dei tassi avrebbe causato probabili ribassi azionari che, a catena, avrebbero fatto decelerare ulteriormente le economie di alcuni grandi Paesi emergenti tra cui la stessa Cina. Il risultato, per l'Italia, sarebbe stato un calo delle esportazioni».
Per Gianluigi Mandruzzato, economista della Banca svizzera italiana, un rialzo immediato dei tassi avrebbe creato anche qualche problemino per la finanza pubblica tricolore: «Cinque o sei settimane di volatilità sui mercati avrebbero potuto causare una leggera revisione al ribasso delle stime di crescita, magari di uno o due decimi di punto percentuale. Non è molto, ed è difficile fare delle stime precise visto che in gioco ci sono molte variabili, ma di certo l'Italia è vicina al limite del 3 per cento nel rapporto deficit/pil fissato dall'Unione europea e un calo del pil, seppur minimo, ridurrebbe i margini di manovra in vista della legge di stabilità».
Il problema, secondo gli esperti, è quindi legato soprattutto agli effetti che il rialzo dei tassi americani avrebbe avuto sui mercati emergenti. Nazioni che negli anni scorsi hanno preso in prestito miliardi di dollari e in futuro, se il costo del biglietto verde dovesse aumentare, si ritroveranno a pagare di più per rifinanziare i propri debiti. Questione a cui si aggiunge quella delle materie prime, prima fra tutte il petrolio, i cui prezzi negli ultimi mesi sono crollati. A subirne le conseguenze, anche qui, sono stati soprattutto alcuni dei Brics: nazioni come Brasile, Russia e Sudafrica, molto dipendenti dalla vendita di commodities all'estero. Spiega Fabio Caldato, gestore di Albemarle Asset Management: «Se la Fed avesse alzato i tassi, il dollaro si sarebbe rafforzato sulle altre valute e così ci sarebbe stato un ulteriore deprezzamento del petrolio. Questo avrebbe avuto degli effetti positivi diretti per l'industria italiana, grande importatrice di greggio, ma avrebbe indebolito ulteriormente la domanda di parecchi Paesi dove esportiamo prodotti finiti, quindi direi che nel breve termine la decisione della Fed è stata vantaggiosa per noi».
C'è solo una cosa di cui l'Italia avrebbe potuto beneficiare nell'immediato se la Fed avesse deciso di alzare i tassi: il valore dell'euro sul dollaro si sarebbe ridotto. «Se il costo del denaro negli Usa aumentasse dello 0,25 per cento», è la stima di Robert Baron, partner del gestore di fondi hedge Delta Hedge, «il cambio euro/dollaro potrebbe passare dagli attuali 1,13 a 1,08. Una mini-svalutazione che avrebbe permesso ai prodotti italiani di risultare ancor più convenienti negli Usa». Ma forse non in tanti altri Paesi in cui esportiamo, e dove un rialzo dei tassi avrebbe potuto peggiorare la crisi. Insomma bene così, almeno per ora. Perché tanto, ha fatto intendere la Yellen, prima o poi il rialzo dei tassi inizierà. Si tratta solo di capire quando.