La sede della Bce a Francoforte
«Non c’è nessun bisogno di altra incertezza nelle regole». Martedì 19 gennaio, nel pieno della bufera per ?i titoli delle banche in Borsa, l’ufficio studi di Mediobanca ha titolato così un report sugli istituti di credito italiani. Lo spunto era rappresentato dalla notizia che, proprio in quelle ore, un gruppo di banche aveva ricevuto dalla Banca centrale europea (Bce) di Mario Draghi la comunicazione che subiranno una nuova valutazione sulle strategie, ?i processi di governo e le metodologie di trattamento dei crediti in sofferenza.

«Dubitiamo che la Bce, dopo aver speso gli ultimi 18 mesi raccogliendo dati per la “Asset quality review”, per gli “stress test” e per la normale attività di supervisione, possa ancora aver bisogno di informazioni sulla qualità del credito di ciascuna banca», scrivono gli analisti di Mediobanca, ricordando le infinite attività di valutazione, ordinarie e straordinarie, che l’istituto guidato da Mario Draghi ha condotto in questi mesi, al fine di assumere la vigilanza sui maggiori gruppi bancari europei.

Anche un episodio così banale contribuisce a spiegare i problemi che stanno minando la fiducia nelle banche italiane. Il timore principale è che alcuni istituti possano subire in futuro più perdite del previsto sui prestiti
che i clienti non riescono a restituire, chiamati appunto sofferenze.

A questa preoccupazione finanziaria, se ne aggiunge un’altra, più sistemica. Tra manager cacciati con l’accusa di aver manipolato il bilancio, perdite emerse all’improvviso, banche in vendita ?senza che si trovi un compratore, ?gli investitori non sanno se credere alle rassicurazioni sulla solidità di molti istituti: «Non ti puoi più fidare dei manager, della Banca d’Italia e neppure del governo, visto che la gestione della crisi sembra dipendere da quanto decidono a Francoforte», dice un analista che preferisce restare anonimo. Il problema, oggi, sono appunto le sofferenze.

La questione è emersa in modo drammatico con il salvataggio delle quattro banche già commissariate: i crediti più deteriorati sono stati acquistati dalla “bad bank” creata dal decreto Salvabanche, che ?li ha valutati al 18 per cento del loro valore nominale. In genere, però, le banche contabilizzano nei loro bilanci i crediti in sofferenza con un valore ?più alto, compreso fra il 30 e il 40 per cento di quello nominale.

Di qui il timore: oggi il mercato sa che, in caso di salvataggio, quei crediti avranno una valutazione più bassa, e questo ha probabilmente contribuito a scatenare la speculazione al ribasso sui titoli di tutto il settore. Occhio alle cifre: considerando che i crediti in sofferenza del sistema bancario italiano sfiorano i 200 miliardi, la differenza tra una valutazione del 30 e una del 18 per cento si traduce in una bella paccata di miliardi di possibili perdite.

Nella formazione di questa montagna ci sono cause strutturali ma anche responsabilità del sistema. La lunga crisi economica ha certamente contribuito, perché molte imprese in difficoltà hanno smesso di pagare
le rate dei prestiti ottenuti.

Allo stesso tempo, però, il problema è stato sottovalutato: nel 2007 i crediti deteriorati (compresi quelli non ancora perduti del tutto, chiamati incagliati, scaduti o ristrutturati) valevano il 6,1 per cento dei crediti concessi; oggi si ?è saliti al 18 per cento. Nel frattempo, però, sono calati gli accantonamenti e le svalutazioni effettuate per far fronte a queste perdite. Il dato medio non vale per tutte le banche: alcune hanno adottato politiche prudenti, altre no. ?Il punto è che il sistema bancario e la vigilanza non sembrano aver operato con la necessaria lungimiranza per frenare la valanga. Prima delle nuove regole europee, che hanno sancito ?il principio per cui se una banca fallisce i suoi azionisti pagano il conto, gli altri Paesi hanno concesso ingenti aiuti pubblici per rimettere in sesto le banche. L’Italia si era illusa di avere un sistema più forte e ora che ha capito ?di aver sbagliato, si trova a trattare con l’Europa un compromesso per fare una bad bank per l’intero sistema che, con il sostegno pubblico, aiuti le banche a ripulirsi. Un compromesso difficile da trovare, con tutte le incertezze che ne derivano, e che peraltro alcune banche non vorrebbero. Dice l’analista: «Molte si sono dotate di un team per gestire ?i crediti dubbi, e non vogliono essere costrette a venderli a condizioni punitive. Facendo da sole possono guadagnarci di più».