
E infatti la lista si è rapidamente assottigliata. La caccia al colpevole ora si è ristretta a due: il basso prezzo del petrolio, e la politica delle banche centrali. Il primo per avere decapitato dal top dei listini molti giganti che ne erano la spina dorsale, le seconde, fino a ieri messe sul piedistallo, biasimate perché il QE, il quantitative easing con cui hanno innaffiato di liquidità i mercati, forse ha fatto più male che bene.
Cominciamo dal petrolio. Il crollo dai 100 euro del 2014 ai 30 di oggi ha messo a dura prova le compagnie, che lavoravano col break-even del prezzo del barile più alto. Soprattutto, ha contagiato un po' tutti i settori economici (e quindi i profitti attesi, e dunque le quotazioni): nel gioco "chi ha vinto chi ha perso", tra i primi ci sono le compagnie aeree, che hanno potuto operare con costi del carburante ridotti, il settore chimico, che ha avuto oneri di produzione minori e portato a casa margini migliori, il farmaceutico perché è considerato un settore difensivo in tempi difficili; nel secondo gruppo ci sono le utilities che dipendono molto dal petrolio, un po' tutte le commodities, che vengono risucchiate dal ciclo al ribasso, e naturalmente le compagnie petrolifere. Non tutte alla stessa stregua però, ma solo quelle concentrate nell'upstream, cioè nella ricerca ed estrazione, mentre le compagnie della raffinazione hanno visto i propri margini gonfiarsi, e altrettanto continueranno a fare quest'anno.
La domanda da un milione di dollari a questo punto è: il petrolio ha toccato il fondo?
Ebbene, d'ora in poi, dicono gli analisti, il petrolio non può che risalire. Non domani, vista ormai l'impotenza dell'Opec a pilotare il mercato, ma magari nel giro di due anni, un pochino alla volta cominciando da fine 2016. Nell'immediato, però, le compagnie dovranno attraversare una seria cura dimagrante. Tagliare i propri costi operativi, e quindi gli investimenti e in ultima analisi anche i dividendi. Ma così rimesse in forma, potranno beneficiare al massimo grado di qualsiasi anche piccolo incremento del valore del barile. Insomma, il "bagno" di oggi selezionerà i migliori che approfitteranno del vento in poppa, quando comincerà a soffiare.
Il secondo colpevole della bufera sono i banchieri centrali. Dopo essere stati portati alle stelle e trattati da supereroi, ora il loro operato di stimolo monetario viene messo sotto esame con occhi più critici. Come s'è visto, il QE ha aiutato a tagliare i tassi delle emissioni obbligazionarie, e ha anche sostenuto i prezzi delle azioni, ma non è servito, per esempio, a tenere basso l'euro né a produrre lo sperato effetto di far ripartire l'inflazione; quanto alla Fed, è stata proprio la Yellen ad ammettere di essere stata troppo precipitosa a far risalire i tassi lo scorso dicembre, e di essere pronta a fare marcia indietro.
L'ammissione dell'errore, e la scoperta che il bazuka della Bce può fare cilecca, hanno iniettato il veleno dell'incertezza nei mercati. Con il sospetto che prima o poi le banche centrali possano cominciare a chiudere il ciclo del QE, e iniziare quello del QT, il quantitative thightening. Cioè iniziare a vendere i bond che hanno acquistato, oppure a lasciare che arrivino a scadenza senza acquistarne degli altri. Quante probabilità ci sono che questo accada?
Nell'orizzonte che abbiamo assai poche, concludono gli analisti. Negli Usa e in Gran Bretagna le autorità hanno interrotto gli acquisti ma si tengono stretti i titoli in portafoglio e non hanno nessuna intenzione di venderli, per timore delle reazioni del mercato. Nel caso della Banca d'Inghilterra, vuol dire conservare i titoli fino a luglio del 2068 (e quindi molto dopo che tutti i protagonisti delle decisioni di oggi saranno fuori gioco). Quanto a Draghi, ha già detto che se necessario darà ancora ossigeno ai mercati con nuovi acquisti. E più aumenta il quantitativo degli acquisti, più si allontana nel tempo la via d'uscita, e più si fa difficile anche la strategia per tornare alla normalità.
Ci toccherà quindi essere la generazione del QE, ha detto qualcuno, a significare che ci segnerà a lungo e in profondità. Con quale effetto secondario per i money manager, cioè i gestori dei fondi, i veri padroni del campo? Un effetto che hanno già messo alla prova e su cui continuano a scommettere: e cioè che i tassi dei bond resteranno bassi e i valori dei titoli in Borsa continueranno a beneficiarne, come di una cura vitaminica.
La caccia ai colpevoli, insomma, non finisce con le manette, ma con un rilancio verso prossimi nuovi rimbalzi del mercato all'orizzonte. Per la serie: finché c'è vita c'è speranza.