L’istituto di Siena, oggi tra i più colpiti in Borsa, nel 2010 emise obbligazioni per 1,5 miliardi. Con comunicazioni opache e omissive agli investitori

Il presidente della Consob, Giuseppe Vegas
Salvare le banche o salvare i risparmiatori? Le perdite subite dai clienti che avevano investito i loro quattrini nei titoli di Banca Marche, Popolare dell’Etruria e degli altri istituti salvati sull’orlo del fallimento a fine 2015, hanno aperto in queste settimane una discussione sulle regole che dovrebbero proteggere i risparmiatori. E fatto finire in prima pagina un conflitto d’interessi di cui, finora, molti clienti non erano del tutto consapevoli. Perché, quando si va allo sportello per decidere come investire, non è scontato che l’impiegato pensi davvero a cosa convenga al cliente. Soprattutto se la banca ha la necessità di rafforzare il patrimonio, vendendo azioni proprie o titoli obbligazionari non garantiti.

Un punto su cui molti osservatori insistono è la differenza di obiettivi tra le istituzioni che vigilano sul sistema. Da una parte c’è la Banca d’Italia, tenuta a controllare che nessun istituto vada gambe all’aria, anche a costo di bruciare i risparmi dei clienti. Dall’altra c’è la Consob, che deve tutelare il risparmio, vigilando sulla coerenza tra i rischi dei prodotti e le esigenze dei clienti. La cronaca recente mostra però che, in questi anni, qualcosa non ha funzionato. Lo evidenziano i prestiti subordinati piazzati dalle banche quasi fallite ma anche, ad esempio, un’operazione effettuata qualche anno fa dal Monte dei Paschi di Siena, uno degli istituti più colpiti dalla tempesta che si è abbattuta sulla Borsa.

Per spiegare i fatti, bisogna tornare al 2010, quando l’allora presidente Giuseppe Mussari escogita una partita di giro per far cassa, vendendo 683 tra uffici e filiali del Monte, tentando di non perderne il controllo. Viene creata una srl, battezzata Casaforte, che emette 1,5 miliardi di euro di obbligazioni complesse, chiamate “asset-backed securities”, da vendere allo sportello per rafforzare il patrimonio del gruppo.

Le cronache e i comunicati di quei giorni parlano di una lunga trattativa con le autorità, al cui termine il Monte viene autorizzato a piazzare i titoli Casaforte. Nella scheda prodotto destinata ai clienti vengono pubblicate informazioni rassicuranti: gli «scenari probabilistici», ovvero la tabella che riassume le prospettive dei titoli, dicono che il rendimento sarà «positivo e in linea con quello di attività prive di rischio» nell’89,5 per cento dei casi. Poche pagine sopra, c’è una clausola che spiega perché: per «assicurare le esigenze di disinvestimento dei clienti», il Monte sarà assistito da un altro istituto, Banca Imi, del gruppo Intesa. Se un cliente chiederà indietro i propri quattrini, dunque, a garantirne il rimborso sarà non solo il Monte ma anche Banca Imi.

Spiega Rita D’Ecclesia, che insegna Finanza quantitativa all’Università La Sapienza: «Questo impegno ha svolto la funzione di contenere i rischi di un titolo così complesso, rendendoli di fatto indipendenti dall’andamento del rischio di credito del Monte». Tutto bene? In un primo momento sì. I quattrini che entrano in cassa permettono alla banca senese di rafforzare il patrimonio, andando incontro alle richieste di Bankitalia, informa un comunicato del settembre 2011.

E questo grazie a un lavoro di grande sinergia fra Banca d’Italia e Consob. Poi però qualcosa cambia. Il 24 dicembre 2013 il Monte annuncia la ristrutturazione dei titoli Casaforte, e rivela che il sostegno di Banca Imi è stato cancellato. Una scelta che, forse, permette all’istituto toscano di risparmiare il costo della garanzia. Ma che cambia il profilo di rischio: «Ora a garantire il riacquisto dei titoli Casaforte non c’è più un soggetto indipendente, ma solo il Monte. Questo significa che, se la banca si ritrovasse in difficoltà, ne risentirà anche l’immediata liquidabilità dei titoli Casaforte», spiega ancora D’Ecclesia.

Ma qualcuno ha avvertito i risparmiatori? Ovviamente no: il comunicato del 24 dicembre è sul sito web del Monte, accanto alle quotazioni dei titoli Casaforte. Ma i nuovi scenari di rendimento, ricalcolati con le condizioni modificate, non ci sono. E nessuno ha pensato di inviarli a chi a suo tempo aveva comprato i titoli: il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, in carica da fine 2010, non li ha più richiesti, per nessun prodotto bancario.

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