Il riservatissimo banchiere dopo aver perso la presidenza della fondazione Cariverona gioca una partita tutta sua sulla banca milanese. Tra grandi manovre, conflitti d’interessi e aziende in crisi
di Vittorio Malagutti
22 giugno 2016
unicredit-jpgPaolo Biasi, 78 anni, da un quarto di secolo fa la spola tra i palazzi del potere finanziario. In tempi diversi, è stato consigliere di Intesa, Generali, Mediobanca e Unicredit. Un record. A febbraio però, dopo quattro mandati al vertice, il piissimo Biasi - è affiliato all’Opus Dei - ha lasciato la poltrona di presidente della Fondazione Cariverona. Pensione? Macché. Tutto come prima, o quasi.
Nei giorni scorsi, nel pieno delle consultazioni tra soci da cui dovrà uscire il nome del nuovo amministratore delegato di Unicredit, Biasi si è accomodato al tavolo della trattativa con gli altri azionisti forti della più grande banca italiana. A Verona tutto tace. Non si ha notizia di un mandato ufficiale all’ex presidente e il suo successore Alessandro Mazzucco, insediatosi a febbraio, ha rispettato la consegna del silenzio su una questione a dir poco delicata per il futuro della fondazione.
Con una quota del 2,8 per cento circa, l’ente veronese è il terzo socio di Unicredit alle spalle della holding araba Aabar, rappresentata in consiglio da Luca Cordero di Montezemolo, e dal fondo americano BlackRock, entrambi con il 5 per cento circa. Fondazione Caritorino (Crt) controlla il 2,5 per cento circa e altri investitori italiani, come il patron di Luxottica Leonardo Del Vecchio e il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone possiedono pacchetti azionari inferiori al 2 per cento.
Il fatto è che Cariverona rischia di bruciare buona parte del suo patrimonio nel gran falò dei titoli Unicredit. Da settimane infatti l’istituto milanese naviga in Borsa tra venti di tempesta. L’uscita di scena, a fine maggio, dell’amministratore delegato Federico Ghizzoni, senza che fosse già stato individuato un successore, ha seminato nuovi dubbi a proposito di una banca da tempo scivolata molto in basso nelle preferenze degli investitori internazionali. Risultato: il ribasso ha ormai superato il 50 per cento rispetto alle quotazioni di inizio anno, addirittura il 70 per cento nell’arco di 12 mesi. Paolo Biasi In altre parole, la quota del 2,8 per cento controllata da Cariverona adesso vale sul mercato poco più di 400 milioni di euro, un miliardo tondo in meno rispetto alla valutazione pari a 1.421 milioni che compare nel bilancio della fondazione. Nelle prossime settimane, una volta risolto il rebus della successione al vertice, è possibile, se non probabile, che le quotazioni di Unicredit riprendano quota. E Verona ne ha più che mai bisogno. In caso contrario, quest’anno sarà molto difficile far quadrare i conti dell’ente presieduto da Mazzucco, che già nel 2015 ha dovuto sopportare perdite (coperte grazie a precedenti accantonamenti) per oltre 400 milioni causate dalla svalutazione del suo asset bancario, di gran lunga il più importante in bilancio.
L’impressione però è che in questa fase Biasi stia giocando una partita anche per se stesso con l’obiettivo di rientrare quanto prima nelle stanze di comando della banca milanese. L’anno scorso, infatti, l’allora presidente di Cariverona uscì sconfitto dalle grandi manovre per il rinnovo del consiglio di Unicredit. L’ente veronese, pur essendo il primo socio italiano dell’istituto, non era riuscito a esprimere nemmeno un rappresentante tra i 17 componenti del board. La Fondazione Crt, forte della sua quota del 2,5 per cento, aveva invece ottenuto la riconferma del vicepresidente Fabrizio Palenzona. Rimasto ai margini, per una volta, del giro che conta, Biasi aveva già fatto trapelare la sua insoddisfazione per i risultati della banca. Poi, a ottobre dell’anno scorso, Palenzona è rimasto invischiato in un’indagine giudiziaria sui rapporti tra il suo braccio destro Roberto Mercuri e l’imprenditore siciliano Andrea Bulgarella.
L’inchiesta della procura di Firenze non ha avuto per il momento conseguenze di rilievo a carico di Unicredit. La vicenda però è tutt’altro che chiusa. Lo stop imposto dal tribunale del riesame, che aveva annullato i primi atti di indagine, un mese fa è stato ribaltato da una sentenza della Cassazione. Intanto, a novembre dell’anno scorso, sono arrivate le dimissioni di un componente del collegio sindacale della banca, Giovanni Battista Alberti in polemica, si disse allora, per il modo in cui era stato affrontato e liquidato il caso Mercuri e soprattutto i legami di quest’ultimo con Palenzona. All’epoca, la vicenda venne interpretata come un siluro targato Biasi, che aveva sostenuto la nomina del veronese Alberti tra i sindaci dell’istituto di credito. Da allora Unicredit viaggia pericolosamente in bilico tra voci e indiscrezioni di ogni genere e le posizioni dei grandi azionisti appaiono quanto mai distanti tra loro.
Tutti contro tutti, insomma. Una situazione quanto mai propizia ai colpi di mano. Tanto che in questi giorni è tornato d’attualità anche il vecchio progetto di una fusione con Mediobanca. Le nozze con la banca d’affari sarebbero sponsorizzate dal finanziere francese Vincent Bolloré, azionista influente dell’istituto che fu di Enrico Cuccia, con l’appoggio di Alberto Nagel, amministratore delegato della stessa Mediobanca. Solo voci, per il momento. Certo è che, a meno di operazioni straordinarie come un’ipotetica fusione, oppure la cessione di attività, gli azionisti di Unicredit saranno presto chiamati a metter mano al portafoglio per finanziare un nuovo aumento di capitale dell’istituto. È comprensibile, allora, che alcuni soci tornino a esaminare con rinnovato interesse un’intesa con Mediobanca. Tra questi azionisti c’è anche Cariverona, che più di tutti gli altri già viaggia in pesante perdite sul proprio investimento.
Biasi, come da copione, tace. Non per niente, per via della sua proverbiale riservatezza, si è da tempo conquistato il soprannome di “Sfinge”. Nel frattempo, la vicenda Mercuri non ha certo rafforzato la posizione di Palenzona, che è entrato nel board di Unicredit addirittura nel lontano 1999 ed è quindi di gran lunga il consigliere con la maggiore anzianità di servizio, 17 anni. Al momento però il corpulento ex politico democristiano di Tortona, in provincia di Alessandria, non sembra intenzionato a farsi da parte.
Biasi invece rischia di scivolare sulla buccia di banana del conflitto d’interessi e di una carriera da imprenditore che si è conclusa tra buchi in bilancio e disavventure varie. Una delle aziende di famiglia, la Officine ferroviarie veronesi, ha trovato solo in questi giorni la via d’uscita da un labirinto di guai. Nel novembre 2013 era arrivata la dichiarazione d’insolvenza e poi, sei mesi dopo, l’amministrazione straordinaria affidata a un commissario con il compito di trovare un compratore per uno dei marchi storici dell’industria cittadina. Nelle settimane scorse è spuntato all’orizzonte il gruppo indiano Ruia, pronto a rilevare l’azienda riassorbendo almeno una parte dei 130 dipendenti.
Nel 2010 era invece arrivato molto vicino al crack il nucleo più importante del gruppo Biasi, marchio affermato nel settore caldaie. Per evitare guai peggiori, il tribunale aveva dato via libera alla liquidazione volontaria della holding. L’accordo con le banche prevedeva una moratoria sui crediti della durata di quattro anni. In sostanza, gli istituti di credito si erano impegnati a non chiedere la restituzione dei loro prestiti fino alla fine del 2014. Nel frattempo l’azienda avrebbe dovuto far fronte agli impegni con la vendita delle proprie attività, a cominciare da immobili e terreni, alcuni dei quali non lontani dal centro di Verona. Questo, in sintesi, era quanto prevedeva l’intesa siglata nel 2010.
A distanza di sei anni, però, la liquidazione del gruppo Biasi ha fatto ben pochi passi avanti. Il programma di cessioni è fermo al palo. Tra i possibili acquirenti c’era anche l’Ikea, che puntava su un’area alle porte della città scaligera. Niente da fare, l’operazione è tramontata per via dei costi troppo elevati per la bonifica del suolo. La storia continua. Altre trattative sarebbero state avviate nei mesi scorsi, ma per il momento non si ha notizia di sviluppi concreti. A quanto sembra, però, le banche non hanno ancora perso la pazienza. Al primo posto nella lista dei finanziatori troviamo proprio Unicredit, esposto per un totale di 38 milioni. E non finisce qui, perché negli anni scorsi la grande banca milanese ha concesso un altro prestito per 13,5 milioni alla Bim spa, un’altra società che fa capo all’ex presidente di Cariverona insieme a moglie e figli.
In altre parole, Biasi recita due ruoli in commedia. Da una parte, come rappresentante della fondazione, siede al tavolo della trattative per designare il successore di Ghizzoni al vertice di Unicredit. Dall’altra, questa volta in qualità di imprenditore, è costretto a negoziare con lo stesso Unicredit i finanziamenti che servono a evitare il crack dell’azienda di famiglia. In questo intreccio d’interessi in conflitto sarà difficile trovare una via d’uscita. Perfino per la Sfinge di Verona.