A rischio c’è l’intero sistema del credito, in difficoltà per lo spread elevato e il Pil fermo. Ecco perché il governo aiuta popolare Bari e Carige nonostante avesse attaccato il governo precedente per aver fatto altrettanto

Dopo una campagna contro i salvataggi delle banche, Lega e 5 Stelle salvano le banche

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Si fa presto a dire «salviamo le banche». Una bella infornata di crediti d’imposta, un paio di giravolte contabili e per finire in bellezza, il coperchio della garanzia di Stato, quello che ci vuole per allontanare i cattivi pensieri sul destino di obbligazioni sottoscritte dai risparmiatori per miliardi di euro. Eccola, la ricetta anticrack del governo gialloverde. In principio, a gennaio, fu Carige. Adesso invece tocca agli «istituti del Sud», come va ripetendo Giulio Centemero, il deputato leghista che ha confezionato una norma, allegata al cosiddetto decreto crescita, con il preciso scopo di dare una mano alla Popolare di Bari, da mesi sulla graticola tra perdite in bilancio, indagini della magistratura e proteste dei piccoli azionisti.

Affare fatto? Mica tanto. A Genova, si sono fin qui defilati tutti i possibili compratori di quella che era la locale cassa di risparmio, poi trasformata in Carige spa e nel gennaio scorso commissariata su ordine della Bce. A questo punto l’ingresso diretto dello Stato come nuovo azionista di maggioranza della banca ligure, da principio descritta come un’extrema ratio, è diventata un’ipotesi più che concreta.

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Il grafico segnala il valore dei Btp in portafoglio alle banche italiane. Tra il 2016 e il 2017, gli istituti hanno venduto titoli di Stato, per poi ricomprarne in gran quantità proprio mentre lo spread saliva


In Puglia invece l’assemblea dei soci per l’approvazione dei conti del 2018 è stata rinviata al 21 di luglio. E così, a sei mesi dalla fine dell’ultimo esercizio, c’è ancora grande incertezza sul contenuto del bilancio. Non è chiaro neppure a quanto ammonti il cuscinetto di attività fiscali che la Popolare di Bari, grazie all’aiutino gentilmente concesso da Lega e Cinque stelle, potrà utilizzare per tentare di risalire la china. Tra l’altro, giovedì 13 giugno, il consiglio di amministrazione dell’istituto barese ha corretto in corsa da 372 a 397 milioni il dato sulle perdite comunicato a metà maggio. Un dato che è stato ancora aggiornato a 420 milioni di rosso lo scorso 2 luglio. Al momento, quindi, è difficile fare previsioni sul futuro della banca cooperativa da decenni gestita dalla famiglia del presidente Marco Jacobini.

Il governo, però, non ha scelta. Deve giocare d’anticipo per chiudere il calderone delle voci che ipotizzano nuove possibili crisi bancarie dopo il filotto di dissesti che tra il 2015 e il 2017 ha mandato a picco sei istituti, tra cui Etruria e le due Popolari venete, mentre a Siena il Monte dei Paschi si è salvato soltanto grazie agli aiuti di Stato. In ballo c’è la credibilità dell’intero sistema Paese, già messo alle corde dagli oneri di un debito pubblico che Roma non riesce (o non vuole) tagliare. Nel frattempo, la stagnazione economica sommata ai cambi di rotta dell’esecutivo gialloverde, per tacer delle liti continue tra i due partiti presunti alleati, tiene alta la febbre del rischio Italia percepita dagli investitori internazionali.

Il caso
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Per evitare guai peggiori quindi, Lega e Cinque stelle non possono fare altro che dare una mano agli istituti in difficoltà, anche a costo di smentire anni di propaganda condita da slogan truculenti che invocavano la gogna per i banchieri e liquidavano i salvataggi bancari, quelli del 2015-2017, come speculazioni sulla pelle dei risparmiatori, oscure manovre architettate dal Pd al servizio dell’alta finanza mondiale.

Messo alle strette, quindi, il sedicente governo del cambiamento ha finito per smentire se stesso, imboccando la stessa strada già percorsa da «quelli di prima», per dirla con il gergo caro ai grillini: la ciambella di salvataggio lanciata a Carige e Popolare di Bari serve a tamponare nuove crepe in un sistema da tempo sotto pressione.

Da una parte infatti, i bilanci degli istituti di credito rischiano di dover far fronte a una nuova ondata di prestiti difficili da recuperare, quelli a suo tempo concessi ad aziende che prevedibilmente andranno in crisi se l’economia non riparte al più presto. D’altra parte, va in qualche modo gestita anche la massa di titoli di Stato targati Italia, che rappresentano la parte di gran lunga più consistente del portafoglio finanziario delle banche.
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Raccolta: La crisi dei conti ha innescato un forte esodo della clientela per Carige, che nell’arco di tre anni ha perso quasi il 40 per cento della raccolta. In leggero aumento, invece, i depositi della Popolare Bari


Il problema si può riassumere in una sola parola, spread. Come noto, il giudizio dei mercati sulla tenuta dei nostri conti pubblici viene comunemente misurato con la differenza di rendimento cioè, appunto, lo spread, tra i Btp con scadenza 10 anni e l’equivalente bund tedesco. Se aumenta il distacco da Berlino, aumentano anche gli oneri a carico della casse dello Stato per pagare gli interessi sulle proprie emissioni. C’è anche un’altra faccia della medaglia, però. Come sa bene chiunque abbia investito in obbligazioni, all’incremento dei tassi di mercato corrisponde una diminuzione delle quotazioni dei titoli. E proprio da qui nascono i possibili guai supplementari per i banchieri, impegnati a gestire una massa di Btp che solo in questi ultimi giorni sono tornati su quotazioni vicine a quelle precedenti l'nsediamento del governo di Giuseppe Conte.
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Risultati: Bilancio 2018 in rosso di 400 milioni per Popolare di Bari. Carige ha accumulato oltre un miliardo di perdite in quattro anni

Qualche numero può essere utile per dare un’idea delle dimensioni del problema. Le statistiche più recenti segnalano che le banche italiane possiedono Btp e altri bond pubblici nostrani per un valore complessivo vicino a 400 miliardi, per la precisione 396 miliardi. A rigor di logica, nell’arco dell’ultimo anno lo stock dei titoli parcheggiato nei bilanci degli istituti di credito dovrebbe essersi ristretto. Il motivo è presto spiegato: il rischio Italia, per lo meno quello percepito dai mercati finanziari, non ha fatto che crescere, principalmente per effetto delle turbolenze politiche a Roma. E infatti, gli investitori internazionali hanno preferito girare al largo dalla Penisola vendendo a piene mani Btp, che quindi si sono svalutati.

I banchieri italiani invece si sono mossi controcorrente: hanno comprato quelle stesse obbligazioni tricolori di cui i loro colleghi stranieri erano ben felici di liberarsi. I numeri fotografano il risultato di questa sorprendente strategia. Nei dodici mesi tra aprile 2018 e lo stesso mese di quest’anno i Btp in portafoglio agli istituti di credito italiani sono aumentati del 14 per cento. Come dire che le nostre banche hanno puntato una settantina di miliardi in più sul rischio Italia.

Come si spiega questa strategia d’investimento? A giudizio di molti analisti non è da escludere una motivazione in qualche modo “politica”. Nel senso che i banchieri, comprando titoli di Stato, hanno cercato di alleviare le tensioni sullo spread e quindi anche le difficoltà del governo gialloverde. C’è poi un’altra lettura, di carattere più tecnico, che tira in ballo il conto economico degli istituti, che negli ultimi anni hanno visto ridursi i margini di profitto per effetto soprattutto del crollo dei tassi d’interesse, a sua volta innescato dalle scelte di politica monetaria della Bce guidata da Mario Draghi.

In poche parole, se il denaro costa meno, per le banche diventa molto più difficile fare utili, perché si restringe la forbice tra ricavi e costi, cioè tra i proventi dei prestiti e i rendimenti da pagare ai clienti che depositano i loro soldi allo sportello. Per recuperare terreno i banchieri devono affidarsi ad altre fonti di profitto. Per esempio le commissioni da servizi incassate grazie alla vendita di fondi e di altri prodotti, oppure con la compravendita di azioni per conto della clientela. Gli utili supplementari per gli istituti di credito possono arrivare anche dalla gestione del proprio portafoglio di attività. Ed è qui che entrano in gioco i Btp, che garantiscono cedole che,nono stante i cali di questi primi giorni di luglio, restano di gran lunga più elevate rispetto a quelle dei bond degli altri Paesi dell’area euro, con l’eccezione della Grecia.

Le banche nostrane, a caccia di rendimenti supplementari, hanno colto al volo l’occasione. Tra l’altro, comprando titoli di stato in una fase di forte calo delle quotazioni, c’è anche la possibilità di realizzare nuovi proventi in un futuro prossimo, in caso di risalita dei prezzi. 

Le regole contabili prescrivono però che una parte dei Btp in bilancio, quelli classificati come “disponibili per la vendita”, vengano contabilizzati secondo il loro prezzo di mercato. Le eventuali svalutazioni finiscono quindi per pesare sul patrimonio. In altre parole si indebolisce il capitale proprio della banca, il principale parametro preso in considerazione da autorità di vigilanza e analisti per giudicare la stabilità di un istituto di credito. Ecco perché di recente colossi come Unicredit hanno scelto di ridurre il portafoglio “disponibile per la vendita”, in modo da attutire l’impatto sul patrimonio dei ribassi dei Btp.

Con qualche difficoltà, e una correzione dei conti in corsa, il governo è riuscito a scampare la procedura d'infrazione da parte della Ue.  In autunno, però, la maggioranza gialloverde dovrà varare una legge di bilancio per il 2020 che si annuncia a dir poco complicata, stretta com’è tra le promesse di costose e mirabolanti riforme, tipo la flat tax, e gli impegni presi a Bruxelles di rimettere ordine nei conti pubblici.

Se i mercati dovessero tornare a vendere i titoli targati Italia, sarebbero innanzitutto le banche a farne le spese, perché un eventuale nuovo aumento dello spread indebolirebbe il loro bilancio. Ecco perché Lega e Cinque stelle non possono permettersi di abbandonare al loro destino neppure istituti di media grandezza come Carige o Popolare di Bari. Devono fare di tutto per evitare nuovi scossoni al sistema del credito e allo stesso tempo continuare a fingere di essere quelli del cambiamento. Quelli che i banchieri incapaci li processano.

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