La svolta è epocale. L’Europa ha sorpassato la Cina nel possesso dei titoli di Stato americani.
Carlo Altomonte, professore di Politica Economica Europea all’Università Bocconi di Milano, ci saranno effetti collaterali?
«La discesa dell’investimento cinese è una scelta politica, presa da Pechino per mandare un segnale preciso agli americani. E la riduzione dei tassi di interesse annunciata dal presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, deriva proprio da un calo dei profitti attesi dalle aziende americane, che subiranno una stretta degli investimenti da parte dei cinesi e una riduzione degli acquisti di prodotti made in Usa. Il trend europeo, invece, è finanziario: per i gestori europei ha senso comprare i titoli di Stato americani che hanno un buon rendimento, attorno al due per cento, e sono meno rischiosi di quelli dei paesi come l’Italia».
Dunque l’Europa andrà alla conquista degli States?
«Non ne sarei così sicuro. Se si dà un’occhiata ai flussi di investimento diretto da parte delle multinazionali, che indicano dove le aziende puntano più quattrini per sviluppare l’economia reale con stabilimenti e nuovi posti di lavoro, si nota un marcato calo della fiducia sugli Stati Uniti, dove gli investimenti sono passati da 471 a 251 miliardi negli ultimi due anni, praticamente si sono dimezzati. Mentre tengono gli investimenti su Italia, Francia e Germania. Questi dati mettono in luce la poca fiducia che c’è nei confronti della base produttiva americana, quasi che gli investitori industriali avessero smesso di scommettere sugli Stati Uniti nel lungo periodo. Sarei dunque prudente, perché questi numeri dicono che il ciclo economico sta cominciando a scricchiolare. Del resto, sappiamo che è il tasso d’interesse a far variare il valore della valuta. Se prendiamo la storia del cambio euro-dollaro, vediamo che il tasso di interesse del dollaro, negli ultimi cinque anni è sempre stato positivo e molto più alto rispetto ai rendimenti europei, eppure il tasso di cambio è sempre rimasto nello stesso range, fra 1,10 e 1,20 dollari per un euro. Perché gli investitori non hanno puntato in massa sul dollaro? Cosa non li convince? A novembre lo stesso Jerome Powell, governatore della Fed, aveva detto che la posizione fiscale di indebitamento degli Stati Uniti era insostenibile».
Crede che una nuova crisi sia alle porte?
«Credo che potrebbe trattarsi della fine del sistema di egemonia economica americana, che l’Europa potrebbe, anzi dovrebbe, cogliere per prenderne il posto. Tuttavia, per fare questo dovrebbe spostarsi da una politica commerciale basata sul mercato a quella geopolitica e geostrategica. Economicamente, per un vero bilanciamento, bisognerebbe creare un titolo di Stato pubblico europeo, che potrebbe fare dell’euro una moneta di riserva e di scambio mondiale, al pari, o forse anche più, del dollaro. Tuttavia, per arrivare a questo punto, serve una maggiore consapevolezza degli europei, che già oggi dal punto di vista dell’innovazione strategica avrebbe le caratteristiche per competere con gli Stati Uniti»