Nel 2000 ben cinque capoluoghi del nostro Paese erano tra i più ricchi del vecchio Continente. Oggi resiste solo Milano. Mentre Roma e le altre sono sparite

Pochi altri numeri aiutano a comprendere il declino economico italiano come quelli sul tenore di vita delle persone nelle grandi città. Gli ultimi, aggiornati qualche giorno fa dall’agenzia europea di statistica, mostrano che ormai fra le tante grandi aree metropolitane del continente soltanto una italiana – Milano – risulta fra le prime venti.

La situazione era assai diversa all’inizio del nuovo millennio, quando il capoluogo lombardo era vicino alla cima, i bolognesi avevano grosso modo lo stesso reddito di chi stava a Londra, mentre altri luoghi italiani come Roma, Reggio Emilia e Firenze apparivano nel gruppo.

Non si tratta neppure di un problema confinato soltanto ai centri maggiori. Nel 2000, che è il primo anno per cui Eurostat rende disponibili questi dati, in quasi due province su tre gli abitanti avevano un tenore di vita superiore alla media europea. Nel 2016 siamo scesi ad appena una su tre. Il confine – magari invisibile ma alla fine reale per i bilanci delle famiglie – passava allora da Lazio e Abruzzo, aree sopra le quali, in quasi tutti i casi, i redditi medi potevano garantire una situazione economica in qualche misura sopra la media dell’Unione. Sedici anni dopo la linea si è spostata più a nord, e ora taglia anche aree un tempo assai prospere come Toscana o Emilia-Romagna.



Il caso di Roma non potrebbe essere più evidente. Se un tempo gli abitanti della Capitale potevano vantare un tenore di vita ben superiore rispetto agli altri europei, oggi questo vantaggio si è fatto sottile e la caduta è stata rapida. In province come quella di Cremona, d’altra parte, il reddito era il 50 per cento sopra la media e oggi è intorno a quel valore, allo stesso modo di parti di Repubblica Ceca o Polonia.

La crescente distanza fra gli italiani e il resto degli europei arriva da lontano, e dipende in estrema sintesi dal fatto che il nostro Paese cresce ormai da decenni molto meno degli altri. Le grandi espansioni economiche che hanno consentito agli italiani di migliorare il loro tenore di vita si sono esaurite, e già prima della grande crisi del 2008 il reddito stentava ad aumentare.

La recessione cominciata quell’anno – la più grande in Italia dai tempi della Seconda Guerra Mondiale – ha colpito un’economia già affaticata e da allora la ripresa è stata debolissima. Il peso della crisi non è ricaduto solo su di noi, s’intende, ma a differenza degli altri anche a distanza di anni l’Italia non è neppure rimbalzata al livello precedente: tanto che secondo le stime dell’Ocse il reddito dei nostri concittadini è oggi grosso modo ancora allo stesso livello di fine anni ‘90. Dal 2007 fra tutte le economie avanzate soltanto la Grecia ha fatto peggio e, senza neppure citare chi corre davvero, basta ricordare anche solo i casi di Portogallo e Spagna, tornati a espandersi prima e meglio.

Nel frattempo però gli altri non sono rimasti certo fermi, e le nazioni più rapide sono state spesso anche quelle interessate dall’espansione a est dell’Unione Europea: paesi come Repubblica Ceca, Slovacchia o Polonia, in diverse parti dei quali ormai il tenore di vita è allo stesso livello se non sopra quello italiano. E il passo dell’Italia è stato lento anche rispetto a Paesi a noi più simili, per esempio già all’interno dell’area Euro. Siamo cresciuti meno di Francia e Germania, molto meno dell’Irlanda, ma anche della Spagna con cui pure abbiamo tanto in comune.

Nota: le statistiche fornite da Eurostat indicano per la precisione il prodotto interno lordo per abitante, e considerano i nuclei urbani in cui vivono almeno 250mila persone. Si tratta di numeri aggiustati per tenere in conto che in aree diverse il costo della vita è altrettanto diverso – nelle nazioni ricche beni e servizi tendono a costare più che in quelle povere – e che includono anche stime dell’evasione fiscale.