Roberto Fontana, giudice della sezione fallimentare al Tribunale di Milano, il nuovo codice per le crisi d’impresa dovrebbe entrare in vigore in autunno. Ma c’è già chi propone di rinviarlo. Cosa ne pensa?
«Non vi è alcuna ragione per rimandare. La legge fallimentare in vigore risale al 1942, mentre il nuovo codice è moderno e contiene norme adatte a gruppi societari, al sovraindebitamento delle micro imprese e dei non imprenditori, regole per l’emersione tempestiva delle crisi attraverso misure di allerta».
Non crede che il sistema della segnalazione delle imprese in crisi possa creare problemi?
«Quando ci sono situazioni di crisi è meglio non nasconderle: le segnalazioni sono come un termometro per rilevare lo stato di salute delle imprese. Entro un certo lasso di tempo si dà la possibilità all’azienda di rimettersi da sé, oltre la si porta davanti a un organismo, creato all’interno della Camera di Commercio, che l’aiuta a trovare una soluzione concordata con i creditori, lasciando come ultima spiaggia l’approdo in tribunale. Il procedimento prevede di bloccare le azioni esecutive contro l’impresa per darle la possibilità di trattare e potrebbe essere ulteriormente rafforzato con forme di sostegno finanziario. Si potrebbe prevedere che la segnalazione non scatti immediatamente nel 2021 o che i tempi siano allungati per le imprese messe in difficoltà dall’epidemia. Ma sarebbe sbagliato mettere sullo stesso piano le imprese entrate in crisi per il Covid-19 e quelle che erano già in crisi da prima, soprattutto con quelle costituite per stare sul mercato senza pagare imposte e contributi previdenziali».
E come si distingue un’impresa sana da una fraudolenta?
«È sufficiente guardare il bilancio e la situazione dei pagamenti dei debiti alla fine del 2019. Va detto che il fenomeno è molto diffuso. Un tempo si trattava per lo più di finte imprese per emettere false fatture e per le frodi carosello. Oggi il baricentro si è spostato su società operative, costituite per svolgere attività in appalto o subappalto per pochi anni, senza pagare nulla allo Stato e agli enti previdenziali. A Milano i debiti verso Fisco e Previdenza rappresentano circa il 45 per cento del totale dei debiti delle società fallite e ammontano a 15 miliardi: la stragrande maggioranza sono debiti di società che non hanno mai pagato nulla allo Stato. Il cuore del fenomeno è la logistica, che lavora per i grandi player internazionali. Tale meccanismo è stato poi replicato nei servizi e nel manifatturiero. Infine, è frequente la presenza di soggetti riconducibili alla criminalità organizzata. A livello nazionale i crediti dell’Erario e degli Enti Previdenziali insinuati nei fallimenti ammontano a 161 miliardi e la percentuale media di recupero è del 1,61 per cento. Per contrastare questi fenomeni devastanti per l’Erario, ma anche per una sana concorrenza delle imprese, non si deve attendere altro tempo: bisogna far partire il sistema delle misure dell’allerta che, per altro, fungono da sostegno per le imprese sane messe in difficoltà dal Covid-19».