Inchiesta
Il Piano da 230 miliardi di euro c’è, ma nessuno lo conosce. “Draghi ora deve garantire trasparenza”
Il Pnrr è stato scritto senza consultare enti locali e territori. Il timore è che anche nella spesa non ci sia controllo civico. E le associazioni lanciano un appello al presidente del Consiglio
È il più grande programma di investimenti dai tempi del piano Marshall. Complessivamente 230 miliardi di euro, in arrivo dall’Europa e in parte dallo Stato, per rilanciare il Paese colpito dalla pandemia e da una crisi economica molto profonda. Nei Palazzi delle istituzioni a Roma e Bruxelles il Piano di ripresa e resilienza è stato approvato. Ma ancora, fuori da questi stessi Palazzi, parti sociali, cittadinanza attiva e amministratori locali sanno ben poco di questo piano.
Le associazioni civiche inoltre, che da tempo lavorano sui territori proprio nelle missioni previste dal programma, come l’inclusione sociale o l’assistenza ai bambini nel doposcuola e nella formazione, nemmeno sono state prese in considerazione. A parte alcune linee generali e tabelle su tabelle inviate in Parlamento, a chi davvero andranno le risorse e come saranno distribuite non è dato sapere. Una partenza con il piede sbagliato sul fronte della trasparenza, con tanto di cabine di regia istituite ormai a Piano approvato, come quella con i sindaci. Per non parlare di emendamenti e ordini del giorno arrivati alla Camera e in Senato che provano a fissare dei criteri di distribuzione, come quello che prevede una soglia minima di destinazione delle risorse almeno fino al 40 per cento del Pnrr per le regioni svantaggiate: testi d’aula che confermano quindi come nel Piano al momento ci siano molte cose non chiare.
Non a caso adesso al governo Draghi arriva un appello dal basso non solo per riprendere il filo del dialogo con i cittadini, come prevede anche l’Unione europea nelle linee guida di approvazione del programma d’investimenti, ma anche per garantire il più possibile la massima conoscenza in fase di attuazione del Pnrr. Il Forum Diseguaglianze e diversità, che tra gli animatori vede l’ex ministro Fabrizio Barca, e diverse associazioni che hanno costituito un Osservatorio civico sul Pnrr, chiedono una inversione di rotta e che le esperienze di partecipazione e trasparenza già avviate sui fondi strutturali vengano ampliate e utilizzate con forza anche nel Piano di ripresa e resilienza.
REGIONI E COMUNI
I numeri del Piano di ripresa e resilienza sono imponenti: 191,5 miliardi di euro di fondi Ue, dei quali 68,9 miliardi in sovvenzioni e 122,6 miliardi in prestiti. A queste risorse si aggiungono 13 miliardi di euro del programma React-Eu e circa 30,62 miliardi di euro derivanti dal Piano nazionale per gli investimenti complementari finalizzato ad integrare con risorse statali gli interventi del Pnrr. Nelle mille pagine del documento ci sono ben descritti gli obiettivi, in termini di occupazione e Pil, ma sul come si arriverà a raggiungerli c’è ben poco. In generale le misure sono sei: digitalizzazione, cultura e turismo con una dotazione di 49 miliardi; transizione energetica 69 miliardi; infrastrutture 31 miliardi; istruzione e ricerca 33 miliardi; inclusione sociale e lavoro 29 miliardi; salute 20 miliardi. Ma ai Comuni quante risorse andranno e come saranno strutturati i bandi e per fare cosa? Alle Regioni quante risorse arriveranno? Come verranno spesi i fondi per la transizione ecologica e con quali criteri? A queste domande nemmeno gli addetti ai lavori sanno dare oggi risposte certe.
Adriano Varrica, parlamentare del Movimento 5 stelle, è stato tra i primi firmatari dell’emendamento che prova a fissare al 40 per cento la soglia minima di risorse per le regioni e le aree interne svantaggiate e che registrano un maggiore divario nei servizi e nell’occupazione: «Il Paese ha perso quasi quattro mesi dietro a una crisi di governo prima e poi per la creazione di un nuovo esecutivo. Questo ha compromesso la possibilità di un percorso partecipato di elaborazione del Piano di ripresa e resilienza. Lo stesso documento che è giunto in Parlamento ad aprile non conteneva tutti gli elementi informativi per esprimere un giudizio pienamente consapevole, soprattutto sul tema del Mezzogiorno. È un bene quindi che vi sia una spinta parlamentare, delle parti sociali e della società civile per recuperare quantomeno in termini di trasparenza nell’avanzamento dell’attuazione del Piano».
Anche i centri di ricerca fanno fatica a fare analisi concrete sul Pnrr, proprio perché nonostante il programma sia stato approvato, ancora rimane per certi versi oscuro: «Il Pnrr inviato a Bruxelles non contiene molte informazioni sulla ripartizione territoriale delle risorse per investimenti - dice Luca Bianchi, direttore della Svimez - la definizione generica di riparto regionale delle risorse è il risultato di un esercizio di “territorializzazione” dei finanziamenti per ciascuna delle missioni del Piano che poco informa sull’effettiva ricaduta degli interventi sui territori. Un esercizio che restituisce un risultato solo virtuale, perché Regioni ed enti locali saranno responsabili della realizzazione di una quota significativa degli investimenti. Solo una maggiore trasparenza sull’effettiva entità delle risorse può aiutare a valutarne l’allineamento rispetto ai fabbisogni da parte di tutti». Proprio i sindaci sono molto preoccupati della scarsa trasparenza, come Salvo Pogliese, delegato Anci e sindaco di Catania: «Il Pnrr sarà una vera opportunità solo chiarendo il metodo e il merito delle azioni da mettere in campo. La norma appena approvata in Commissione al Senato, che inserisce i Comuni e le Province nella cabina di regia decisoria, lascia sperare in un’inversione di rotta dopo che in questa prima fase gli enti di prossimità sono stati del tutto esclusi. Emerge comunque prepotentemente ogni giorno di più che occorre realizzare opere, infrastrutturali e non nei Comuni. Reti di trasporto per mobilità sostenibile, tutela dell’ambiente e del decoro urbano, tecnologie digitali per le smart city e strutture all’avanguardia per la formazione di bambini e ragazzi. Ma su questo fronte non abbiamo ancora alcuna certezza».
CONTROLLO CIVICO
Considerata la pessima partenza adesso arriva un appello dal basso per chiedere al governo Draghi la «massima partecipazione» in fase di realizzazione del piano, sfruttando la rete di esperienze sul monitoraggio dei fondi pubblici già presente in Italia. Scrivono Forum Dd e Osservatorio civico Pnrr nella lettera inviata a Draghi: «La Commissione europea, nella proposta al Consiglio europeo di approvazione del Piano italiano ha rivolto una chiara raccomandazione al Governo italiano: “Per garantire la responsabilizzazione dei soggetti interessati, è fondamentale coinvolgere tutte le autorità locali e tutti i portatori di interessi, tra cui le parti sociali, durante l’intera esecuzione degli investimenti e delle riforme inclusi nel piano.” Non è questa la prassi dell’amministrazione pubblica italiana. Non è ciò che il Pnrr già garantisce. Qui sta l’importanza della raccomandazione. E solo un monitoraggio di elevata qualità può rendere veritieri ed efficaci il “coinvolgimento” e la “responsabilizzazione” richiesti dall’Europa».
Tra le firmatarie dell’appello c’è Sara Vegni di Action Aid Italia, che giovanissima ha lanciato iniziative di partecipazione civica e controllo della spesa all’indomani del terremoto dell’Aquila. E racconta cosa significa partecipazione e verifica civica: «Esistono già diverse realtà e meccanismi che possono essere replicati nel controllo del Pnrr. A esempio i Patti di integrità avanzati, uno strumento nato trent’anni fa in Europa e che da sei anni è utilizzato dalla Commissione europea e dalla direzione centrale per gli affari regionali. Un esempio concreto di patto? Un progetto è in corso in Calabria, a Sibari. Si tratta di un appalto per la riqualificazione di un parco archeologico, con un patto, appunto, tra la stazione appaltante, cioè l’ente pubblico, e un ente di monitoraggio civico, in questo caso composto da Action Aid e Trasparency. Cosa fa l’ente di monitoraggio? Verifica che tutti i passaggi sui contratti vengano svolti nel migliore nei modi e controlla anche sulla qualità delle opere. Inoltre l’ente di monitoraggio indipendente coinvolge la società civile nell’avanzamento dell’opera e della spesa, attraverso laboratori e iniziative nei cantieri». Un altro esempio di controllo civico è quello di Cittadinanza attiva, che ogni anno verifica lo stato dell’arte degli edifici scolastici, sfruttando una rete di volontari sul territorio. Una realtà molto presente sul fronte del controllo civico della spesa pubblica è poi quella del team di Opencoesione che ha creato Monithon, un’associazione che vede tra i fondatori Luigi Reggi e che pubblica report periodici su 10 miliardi di euro di spesa comunitaria in Italia. Secondo Sabina De Luca, del Forum Diseguaglianze e diversità «non è comunque solo un problema di conoscere le scelte fatte dalle istituzioni»: «Ma di contribuire alla formazione di queste scelte, perché ci sono dei saperi e delle conoscenze che solo chi lavora nei territori può avere. Diciamoci la verità: a oggi sul Piano nazionale di ripresa e resilienza non c’è stata questa apertura al dialogo con il mondo del terzo settore e la cittadinanza attiva. Siamo partiti con il piede sbagliato, speriamo adesso di correggere il tiro. Al momento, guardano il testo ufficiale del Pnrr, in molti casi mancano i dettagli operativi. Invece, come ci insegnano le pratiche comunitarie, occorre un grande lavoro di co-progettazione anche nella fase di scrittura dei bandi: ad esempio su tutta la parte della programmazione integrata urbana, cioè periferie e interventi che guardano alla loro riqualificazione, è importante confrontarsi con chi nel territorio ci lavora».