Tecnologia e medicina
L'intelligenza artificiale che aiuta a creare i farmaci è la nuova speranza della ricerca
Sono 72 quelli in fase di sperimentazione clinica messi a punto con l'ausilio di questa tecnologia: l'anno scorso erano 15. Si stima che possano permettere un risparmio di tempo fino al 50 per cento. Aiutando e non sostituendo medici e ricercatori
Deepmind, azienda di Google, qualche settimana fa ha annunciato di avere creato un’intelligenza artificiale in grado di capire quali delle nostre mutazioni genetiche possono causare malattie. Una scoperta che potrà accelerare la diagnosi e aiutare a trovare terapie per patologie, che, per via della loro rarità, adesso attraggono pochi investimenti da parte delle aziende farmaceutiche.
La scorsa estate invece è entrato per la prima volta nella fase di test clinici su esseri umani un farmaco sviluppato con l’aiuto dell’intelligenza artificiale (Ia). È della Insilico Medicine, azienda con sede a New York e Hong Kong e affronta la fibrosi polmonare idiopatica, una grave malattia che porta a cicatrici polmonari non curabili. Il candidato farmaco ha completato le fasi di scoperta e preclinica in soli 30 mesi: un record.
Intelligenza artificiale in medicina: scoprire farmaci, antibiotici, vaccini in tempi rapidissimi è forse oggi l’utilizzo che fa più scalpore. Sfrutta lo sviluppo recente di questa tecnologia, anche con modelli di calcolo simili a quelli usati per ChatGpt e analoghi “chatbot” generatori di testo o immagini artificiali. C’è crescente entusiasmo nella comunità scientifica internazionale. La speranza è che, tra l’altro, dall’Ia possa venire l’aiuto decisivo per sconfiggere il cancro, in tutte le sue forme.
Scoprire nuovi farmaci è come cercare un ago in un pagliaio, come spiega Regina Barzilay, scienziata informatica del Mit; l’Ia quindi agisce come un metal detector che, con complessi calcoli probabilistici, aiuta a trovare la molecola più efficace per un particolare problema. Concettualmente non è molto diverso da come ChatGpt trova le parole più adatte per rispondere alle nostre domande.
Il team di Barzilay ha contribuito a trovare, in questo modo, due antibiotici: l’abaucina e l’alicina. In sostanza l’Ia accelera la fase iniziale di scoperta farmaci, che va a tentativi ed errori. Secondo uno studio 2022 di Boston Consulting Group (Bcg) erano 15 i farmaci che, sviluppati anche grazie all’Ia avevano raggiunto la fase di sperimentazione clinica. Uno studio di ottobre 2023 di Bcg e Wellcome Trust (una charity londinese) ha portato questo numero a 72. Qui si legge che l’Ia potrebbe produrre «risparmi di tempo e di costi di almeno il 25-50%» nella scoperta di farmaci fino alla fase preclinica. In genere passano 12-15 anni dall’inizio di un programma di scoperta al momento in cui le agenzie nazionali di regolamentazione dei farmaci concedono l’approvazione alla vendita. Ci vogliono sei anni solo per la fase di scoperta e preclinica. Secondo varie stime (citate in un recente articolo su Nature), portare un farmaco sul mercato costa circa 2,5 miliardi di dollari.
Non solo scoperta di farmaci: con sistemi analoghi ora l’Ia è usata anche per ottimizzare l’efficacia di quelli esistenti o trovare per loro nuovi utilizzi; o per progettare vaccini (in particolare quelli mRna, decisivi per la lotta al Covid-19). Ma anche – come nell’ultima scoperta di Deepmind – per analizzare gli effetti (nocivi o innocui) di alterazioni genetiche presenti nei pazienti. L’Ia di Deepmind si chiama AlphaFold, la stessa che negli ultimi anni ha regalato all’umanità un traguardo che si pensava impossibile raggiungere: la struttura tridimensionale di tutte le proteine esistenti. Circa mezzo milione di ricercatori, finora, vi ha avuto accesso, gratis, per accelerare la scoperta di farmaci e vaccini (che è legata al funzionamento delle relative proteine).
«Non risultano aziende italiane che usino l’Ia in questo modo; ma da noi se ne fanno altri utilizzi medici, a scopo diagnostico perlopiù», spiega Eugenio Santoro, ricercatore dell’Istituto Mario Negri (dipartimento oncologia clinica). «Da anni al mondo l’Ia riesce a suggerire diagnosi ai medici analizzando radiografie e altri risultati di esami – continua Santoro – ma l’ultima novità è l’uso di queste tecnologie per diagnosi basate su testi scritti in linguaggio naturale, come le cartelle cliniche dei pazienti». Lo stesso Istituto Mario Negri ha ora un progetto per diagnosi precoce del tumore al polmone.
«Università e Politecnico di Bari hanno un progetto per rilevare i primissimi deficit cognitivi dovuti all’Alzheimer con l’analisi di immagini di risonanza magnetica tramite Ia», aggiunge Giovanni Gorgoni di Aress, agenzia della Regione Puglia. «Al Policlinico Gemelli di Roma una piattaforma analizza dati eterogenei di un paziente per prevedere il rischio di re-ospedalizzazione: mette assieme consulti cardiologici, misurazioni eco-cardiografiche, farmaci assunti, esami di laboratorio, diagnosi cliniche standard, ricoveri, eventi in urgenza, diari infermieristici, contatti familiari e sociali», continua. Un altro esempio italiano che sfrutta l’Ia su una vasta quantità di dati eterogenei è l’Asst della Brianza (Vimercate) che adotta un «sistema articolato di allarmi e promemoria per tenere sotto controllo il decorso clinico del ricovero di uno specifico paziente», continua Gorgoni. Ci crede anche l’Unione Europea, che lavora a un prossimo regolamento per favorire l’utilizzo di dati sanitari a scopo di ricerca e innovazione.
Gli esempi sono numerosi, come si vede. Il problema – come riflette lo stesso articolo di Nature – è che siamo ancora all’inizio. Dobbiamo ancora attendere studi indipendenti (da case farmaceutiche e aziende di Ia) per verificare la reale efficacia dei farmaci e dei sistemi diagnostici. Su un punto sono tutti d’accordo: questi sistemi non possono sostituirsi a medici o ricercatori. Ma solo aiutarli indicando una possibile via, che poi dovranno essere gli esseri umani a vagliare. Prima di arrivare a sconfiggere, così, i mali ora incurabili del nostro secolo.